MONDRAGONE – Non è stato fermo sul luogo del delitto fino all’arrivo dei carabinieri. Giancarlo Pagliaro, alle 10:40, poco dopo aver fatto fuoco e ucciso Luigi Magrino, viene visto lasciare la Eni Station-De Martino, attraversare la Domiziana ed entrare nel negozio Mi.Di Detersivi, di fronte al distributore di carburante. Questa scena viene ripresa dalle telecamere di sorveglianza dell’attività commerciale dove Pagliaro fa ingresso a seguito dell’assassinio. E proprio in quel locale, i militari dell’Arma troveranno il giubbino che indossava Pagliaro, sporco di sangue.
Video a parte, a riferire su questo episodio è stato anche il titolare del Mi.Di Detersivi, che è un parente dell’indagato. Ai carabinieri ha raccontato che si trovava all’esterno del suo negozio e aveva visto Pagliaro sporco di sangue sul labbro e sulle mani, per queste ragioni lo aveva invitato ad entrare. Ha riferito di aver creduto che il parente fosse stato aggredito, ma non immaginava da chi. L’imprenditore, mentre si avvicinava, diceva come un mantra “Mi ha rovinato! Mi ha rovinato!”, frasi che poi il titolare dell’attività commerciale ha collegato a quanto era successo: l’omicidio.
Perché l’attenzione degli investigatori su questa fase? Per comprendere se durante questo breve spostamento, Pagliaro potesse essersi liberato della pistola con cui ha sparato e ucciso Magrino.
Il titolare del Mi.Di Detersivi ha detto che non aveva notato portare da Pagliaro alcun oggetto all’interno del giubbino che gli aveva fatto togliere. Ha aggiunto che dopo essersi lavato le mani, Pagliaro era tornato alla stazione di servizio, dall’altro lato della Domiziana, dove “c’erano i carabinieri”. Trovare l’arma è importantissimo per l’indagine.
Durante l’udienza di convalida, dinanzi al giudice Rosaria Dello Stritto, Pagliaro ha raccontato che la semiautomatica gli era stata mostrata, per minacciarlo, da Magrino. Alla vista della pistola sarebbe nata la colluttazione tra lui e la vittima, sfociata in tragedia.
Sceso dall’abitacolo, in realtà strattonato da un amico che si era trovato a transitare in quel momento, avrebbe fatto cadere al suolo la pistola, poi scomparsa. Avere quell’arma significherebbe poter magari attestare se fosse stata realmente di Magrino e, in quel caso, la posizione per Pagliaro potrebbe rivelarsi meno complessa; in caso contrario, se si dovesse definire che era dell’imprenditore, allora ci ritroveremmo dinanzi a un omicidio premeditato (circostanza che per ora il giudice, accogliendo la tesi degli avvocati Antonio Miraglia e Alonso Quarto, ha escluso).
Omicidio Magrino, spunta una fattura da 740mila euro intestata alla vittima
L’indagine prosegue anche sul movente. Del tipo di relazione che aveva con Magrino, Pagliaro non ha voluto parlare ancora. Da quanto raccolto dai testimoni, i carabinieri ritengono che ci siano delle ragioni economiche: un’esigenza di denaro da parte di Pagliaro, patron del mobilificio Franchino, che avrebbe provato ad ottenere da Magrino, ma che quest’ultimo avrebbe promesso, trasformando poi la situazione in una sorta di raggiro ai danni dell’imprenditore.
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