Omicidio del figlio del capoclan De Luca Bossa. Assoluzione per Marco De Micco

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Carmine D'Onofrio, il 23enne ammazzato nella notte in via Luigi Crisconio

NAPOLI – Svolta nell’inchiesta per l’omicidio di Carmine D’Onofrio, ucciso a colpi di pistola la notte tra il 5 e il 6 ottobre 2021 in via Luigi Crisconio nel quartiere Ponticelli. Ieri è arrivata la sentenza dei giudici della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello: assolti Marco De Micco detto ‘Bodo’ (difeso dagli avvocati Stefano Sorrentino e Savero Senese), Ciro Ricci (avvocato Mauro Zollo), Giovanni Palumbo (anche lui difeso da Stefano Sorrentino), Ferdinando Viscovo (avvocato Antonio Iavarone), Giuseppe Russo jr (assistito da Vincenzo Carrano e Marco Di Scisciolo). Tutti assolti per non aver commesso il fatto. Le richieste erano pesanti: ergastolo per tutti, secondo il pubblico ministero.
Tutto da rifare. Dopo tre anni di processo e accuse che apparivano inconfutabili, ora la sentenza dei giudici di primo grado ha ribaltato il quadro.

Marco De Micco, ritenuto dagli inquirenti ai vertici del clan che porta i suo nome, e altre quattro uomini di Ponticelli sono stati assolti dall’accusa di omicidio di Carmine D’Onofrio, il giovane figlio di Giuseppe De Luca Bossa, del gruppo antagonista ai De Micco-De Martino. Secondo la tesi dell’accusa, D’Onofrio sarebbe stato ucciso per vendicare l’attentato dinamitardo che egli stesso avrebbe compiuto contro l’abitazione del boss dei ‘Bodo’. Tutto cristallizzato nell’ordinanza cautelare che aveva portato agli arresti dell’epoca. La sentenza di assoluzione ha riguardato De Micco, difeso dagli avvocati Stefano Sorrentino e Saverio Senese, Ciro Ricci junior, assistito dall’avvocato Mauro Zollo, Giovanni Palumbo, anch’egli difeso da Stefano Sorrentino, Ferdinando Viscovo e Giuseppe Russo.

Questa decisione giunge a pochi giorni dalle verifiche presentate in aula durante il dibattimento dal team legale Sorrentino-Senese, che aveva fornito elementi probatori volti a smontare il presunto movente dell’omicidio. Le analisi GPS effettuate dalla difesa sul telefono cellulare di Carmine D’Onofrio avrebbero dimostrato che, al momento dell’esplosione dell’ordigno, la vittima non si trovava in via Piscettaro, l’abitazione del boss Marco De Micco. Come sottolineato dall’avvocato Sorrentino, D’Onofrio sarebbe stato localizzato a circa due chilometri dal luogo dell’attentato. A corroborare questa tesi vi sarebbero anche alcuni SMS che il giovane avrebbe scambiato con la fidanzata. L’avvocato ha evidenziato come D’Onofrio non avrebbe certamente messo in pericolo la compagna. Il legale ha inoltre evidenziato come alcune intercettazioni non fornirebbero una prova certa del coinvolgimento di D’Onofrio nell’attentato dinamitardo e, di conseguenza, del presunto piano di vendetta del boss, rendendo il movente al momento incerto.

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