Clan Sarno e quell’accordo coi cinesi per la ‘fornitura’ di manodopera a basso costo

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Ciro, Vincenzo ed Antonio Sarno

NAPOLI – Gli indagati sono 25. I primi sei, nell’elenco, hanno lo stesso cognome: Sarno, che forse in Toscana dirà poco ma che a Napoli racconta decenni di camorra. Il clan di Ponticelli, dato ormai da anni per estinto a causa dei pentimenti eccellenti e delle condanne, si stava riorganizzando in Toscana. Ne è certa la Direzione distrettuale antimafia di Firenze che tre giorni fa è riuscita a ottenere l’esecuzione di dodici misure cautelari e il sequestro preventivo di beni per circa un milione di euro. Le indagini, iniziate nel 2022 e portate avanti dal Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria, hanno coinvolto Toscana, Liguria, Campania e Friuli Venezia-Giulia.

Al centro di tutto un gruppo criminale legato ai Sarno, storico clan di camorra attivo nel quartiere Ponticelli e nei dintorni di Napoli: secondo gli inquirenti diversi pentiti, tre collaboratori di giustizia, ospitati in programmi di protezione in Toscana, sarebbero stati attivi nel ricostituire nella regione e in Liguria una struttura di criminalità organizzata, per operare nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti e nel trasporto illegale di lavoratori pakistani senza documenti da fare arrivare attraverso i Balcani, in particolare passando da Croazia e Slovenia.

L’ordinanza ha avuto come effetto il trasferimento in carcere di Ciro Sarno, Antonio Sarno, Vincenzo Sarno, Giuseppe Sarno e Pasquale Sarno. Si diceva del business dei lavoratori pakistani. Dalle indagini è emerso che il gruppo aveva stretto un accordo con imprenditori cinesi. Questi ultimi, secondo la Dda, sarebbero stati committenti di dei viaggi verso i Balcani, al ritorno dei quali i corrieri avrebbero dovuto far arrivare in Toscana manovalanza pakistana, considerata a basso corso, da poter impiegare nelle varie attività degli asiatici concentrate soprattutto in quel di Prato. Ci sarebbe Antonio Sarno, stando agli inquirenti, al centro di questo business. Con il progressivo azzeramento delle entrate derivanti dai tradizionali canali legati ai collaboratori di giustizia, il clan Sarno avrebbe scelto di tornare alle origini, non solo per modalità operative ma anche per obiettivi economici. Un altro focus sarebbero stati gli scarti tessili, materiale di scarto proveniente dalla produzione tessile di cui la comunità cinese di Prato ha un ingente bisogno di smaltire, spesso anche attraverso canali illegali.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il clan avrebbero stretto un accordo con alcuni imprenditori locali, sfruttando rapporti consolidati nel tempo: “offrire un servizio” per la raccolta e lo smaltimento degli scarti, che in realtà si traduceva in una vera e propria estorsione, con richieste di denaro per ogni camion di “pezze” trasportate. Complessivamente, tra dicembre 2022 e giugno 2023, il clan avrebbe incassato circa 18.500 euro in diverse tranche. Uno degli anelli fondamentali di questo sistema è rappresentato da Franco Cozzolino, detto “Berlusconi”, finito ai domiciliari, che avrebbe fatto da mediatore tra clan e vittime. Secondo l’ordinanza, Cozzolino si sarebbe occupato personalmente di riscuotere il “pizzo” o di accompagnare gli imprenditori estorti a effettuare i pagamenti.

La strategia del clan è stata inizialmente di mascherare le richieste di denaro come un compenso per un servizio: in un primo momento era stato pattuito che un imprenditore fornisse ai Sarno due camion di materiale a settimana, in cambio di un guadagno settimanale di 1.500 euro. Ma la dinamica è rapidamente cambiata: l’ex boss Ciro Sarno, a un certo punto, ha abbandonato la finta veste di prestatore di servizio, per passare a pretese estorsive dirette, alzando le somme richieste nel caso in cui l’imprenditore avesse scelto di non consegnare i camion di scarti al clan. Le intercettazioni ambientali, raccolte dalla Guardia di Finanza, rivelano anche i contrasti interni al clan.

Un episodio particolarmente significativo è la conversazione del 3 aprile 2023 tra Ciro Sarno e il figlio Antonio, durante la quale quest’ultimo rimprovera il padre e gli zii per l’atteggiamento violento e “mafioso” tenuto nei confronti di un imprenditore vittima di estorsione. La reazione di ‘o sindaco, come viene soprannominato Ciro Sarno, è immediata e minacciosa: “La prossima volta ti sparo in testa”, dice prima di ribadire con forza di essere “tornato a fare il camorrista” e di farlo “dove vuole lui”.

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