La bisca che lega Schiavone e Bidognetti. Il business curato dagli eredi dei padrini. Le accuse a Ivanhoe

L’affare che aveva riavvicinato le cosche storicamente in tensione. Ma dopo le incursioni di Emanuele Libero, la tregua sembra ormai finita

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CASAL DI PRINCIPE – I rapporti tra loro non sono mai stati davvero distesi: il fatto che per decenni abbiano avuto casse separate è indicativo della scarsa affinità. Parliamo degli Schiavone e dei Bidognetti. Tuttavia, con l’arresto dei rispettivi padrini e il passaggio di consegne ai loro eredi mafiosi, le occasioni e i contatti per condurre affari condivisi si sono moltiplicati. Rientrerebbe in questa nuova tendenza anche la bisca che bidognettiani e schiavoniani avrebbero co-gestito. A parlarne è stato Vincenzo D’Angelo, detto Biscottino – genero del capocosca Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte (nel tondo a destra) – che ha iniziato a collaborare con la giustizia poco dopo il suo arresto, avvenuto nel 2022.

Il pentito ha fatto cenno ai ‘tavoli verdi’ quando i magistrati dell’Antimafia gli hanno chiesto di riferire su Nicola Ferraro Fucone (nel tondo a sinistra), ex consigliere regionale dell’Udeur, ritenuto un ‘colletto bianco’ legato agli Schiavone.
Raccontando dell’ipotizzato sostegno economico offerto proprio da Fucone e dal fratello Luigi alla famiglia Sandokan, D’Angelo ha inserito la bisca che gestiva – dice – insieme a Ivanhoe Schiavone, l’unico figlio del capoclan Francesco Schiavone adesso libero di circolare a Casale (lo era prima dell’arresto di D’Angelo e, a eccezione di una breve parentesi di ritorno nell’Agro aversano del fratello Emanuele, è ancora il solo a non trovarsi in carcere).

Le informazioni fornite da D’Angelo sono state utilizzate dalla Dda per puntellare la nuova accusa nei confronti di Nicola Ferraro, basata sul lavoro svolto dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta. Fucone già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, è ora indagato per associazione mafiosa piena e per aver gestito una rete di imprese a lui vicine che sarebbero state inserite nel giro di appalti di Asl e Comuni facendo leva sulla forza mafiosa, sui suoi contatti politici e, all’occorrenza, ricorrendo alla corruzione. Per queste accuse, i pm Vincenzo Ranieri e Maurizio Giordano hanno chiesto il suo arresto cautelare, su cui a breve si pronuncerà il Tribunale di Napoli (dopo gli interrogatori preventivi disposti dal gip).

Tornando alla bisca, le dichiarazioni di D’Angelo hanno un duplice valore. Il primo è che, se saranno confermate, dimostrano come gli Schiavone, nonostante il pentimento di Nicola – primogenito di Sandokan e suo erede mafioso – continuino a percepire denaro dalle attività illecite sul territorio, a conferma della forza e della leadership del gruppo. Il secondo è il riavvicinamento con i Bidognetti, dato che la bisca sarebbe stata gestita da Ivanhoe Schiavone e dallo stesso D’Angelo (legato a doppio filo a Cicciotto ‘e mezzanotte).

Questa intesa c’è ancora? Stando a quanto accaduto in seguito al (breve) ritorno in libertà di Emanuele, il figlio minore di Sandokan, sembrerebbe di no. Rientrato nell’Agro Aversano dopo 12 anni di carcere e intenzionato a espandersi nel mercato della droga, sarebbe entrato in contrasto proprio con soggetti legati ai Bidognetti. Un atteggiamento che ha portato Sandokan jr a uno scontro violento con ambienti vicini a Cicciotto. Risultato? Un agguato sfumato, diverse stese e mitragliate contro l’abitazione di Francesco Schiavone. Uno scontro che avrebbe potuto innescare anche una vendetta da parte di Emanuele Libero, evitata solo grazie al tempestivo intervento dei carabinieri, che – l’anno scorso – lo hanno arrestato. In questa attività investigativa, Ivanhoe non risulta coinvolto ed è da considerare, anche in relazione alla bisca, innocente fino a un’eventuale condanna definitiva.

Tornando ai rapporti tra le due cosche, va registrato un ulteriore elemento: Emanuele Libero Schiavone avrebbe ordinato – proprio dalla cella, tra il 2021 e il 2022, utilizzando telefoni clandestini – l’esilio da Casale di Gianluca Bidognetti – attuale reggente della cosca fondata dal padre Cicciotto – che stava per uscire di prigione (ritorno in libertà poi bloccato dalla una nuova condanna legata proprio all’inchiesta che ha portato D’Angelo a collaborare con la giustizia). Per quale motivo quell’anatema? Per la gestione di un affare immobiliare da parte di un uomo di fiducia dei Bidognetti, in contrasto con gli interessi degli Schiavone.

Insomma, mentre tra i due rampolli in carcere i rapporti erano tesi, chi era libero – cioè Biscottino e Ivanhoe Schiavone – sarebbe stato socio in affari. Una situazione confusa, tesa, ulteriormente agitata da pentimenti e recenti scarcerazioni, capaci – in potenza – di riaccendere lo scontro tra le due realtà mafiose. A impedire che scoppi l’incendio, però, c’è il costante monitoraggio della Dda e dei suoi investigatori.

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