TEVEROLA – Nonostante i frequenti controlli degli agenti, continuano a circolare ad alta intensità nelle prigioni italiane. Parliamo dei telefonini. Un fenomeno che contribuisce a trasformare le strutture, nate per recuperare socialmente chi ha commesso degli errori, in luoghi dove i detenuti allenano e ampliano le proprie capacità criminali. Le attività della polizia penitenziaria, tese a trovare narcotici e cellulari, hanno generato e stanno generando numerose indagini che stanno portando a processo decine e decine di detenuti. E una di esse, recentemente, ha fatto avviare un nuovo iter giudiziario per cinque persone.
Chi sono? Giuseppe Cefaliello, 45enne di Casal di Principe, già condannato – con sentenza definitiva – per droga, armi e falso; Guido Frascogna, 51enne di Grazzanise, al momento in prigione per reati connessi allo spaccio di stupefacenti; Giuseppe Laudadio, 56enne di Teverola, imprenditore; Ivan Amato, 29enne, e Giovanni Visconti, 50enne, entrambi di Castelvolturno.
Gli indagati, stando a quanto ricostruito dagli agenti della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, quando erano detenuti ella stessa camera detentiva del reparto Nilo – del carcere ‘Francesco Uccella’ – avrebbero usato un telefonino, detenuto senza autorizzazione, per comunicare con l’esterno. Queste chiamate ‘illecite’ si sarebbero verificate tra l’agosto e il settembre 2024, quando gli agenti intervennero con una perquisizione che portò al rinvenimento dell’apparecchio. Ora, con questa accusa, i cinque, tutti da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, affronteranno il processo per l’uso di quel cellulare, dinanzi al giudice Crisci del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. La prima udienza è prevista per novembre. Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Pasquale Delle Femmine, Marco Schiavone, Mirella Baldascino, Paolo Raimondo, Mike Lubrano e Michele Sanseverino.
Laudadio, recentemente, è stato coinvolto in un’indagine della Dda di Napoli tesa a tracciare e smantellare il presunto gruppo criminale che orbitava intorno ad Aldo Picca e Nicola Di Martino, esponenti del clan dei Casalesi. Laudadio, ora libero, è accusato di associazione mafiosa. Avrebbe dato un contributo al gruppo malavitoso, sostiene la Dda, mettendosi a disposizione per le diverse attività che la gang svolgeva, in particolar modo per le azioni estorsive. Gli viene contestata anche la detenzione in luogo pubblico di una pistola in concorso con altri indagati. Stando alla tesi dei magistrati antimafia, avrebbe fornito ad Aldo Picca e al suo uomo di fiducia, Salvatore De Santis, alais ‘o buttafuori, informazioni utili sulle attività di una famiglia di imprenditori, notizie usate dagli esponenti della cosca per avanzare poi le richieste estorsive.
I carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, che si sono occupati di Laudadio, hanno registrato diversi suoi incontri proprio con il boss di Teverola e con il suo braccio destro. In relazione all’inchiesta su Picca, il gip Marco Carbone del Tribunale di Napoli, l’anno scorso, aveva disposto per Laudadio il divieto di dimora in Campania, solo in relazione alla detenzione dell’arma, non disponendo la misura cautelare per le altre ipotesi di reato. Tra coloro che dovranno affrontare il processo per il telefonino c’è, come detto, Frascogna. Anche lui, recentemente, è stato coinvolto in una nuova indagine, che ha spinto la Procura di Santa Maria Capua Vetere a chiedere l’arresto suo e di altri 9 coindagati. A decidere se disporre o meno il provvedimento sarà il giudice Stadio, che ha già interrogato preventivamente Frascogna e gli altri.