Tentata estorsione: condannato un imprenditore 61enne di Portici

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PORTICI – Un investimento da un milione e mezzo di euro: ma le villette che avrebbe dovuto acquistare non sono mai diventate sue. Sarebbe stata questa la scintilla che, circa due anni fa, avrebbe fatto scattare la presunta condotta estorsiva: Antonio Cozzolino, 61enne imprenditore di Portici, voleva recuperare il denaro sborsato, con gli interessi, ma – secondo l’accusa – per provarci avrebbe usato metodi illeciti. Per questo motivo, l’uomo d’affari, difeso dall’avvocato Vincenzo Montanino, è stato condannato. La Corte d’Appello di Napoli gli ha inflitto un anno e otto mesi di reclusione per tentata estorsione, da scontare ai domiciliari. La pena è stata ridotta rispetto a quella stabilita in primo grado dal Tribunale di Napoli. Cozzolino fu arrestato nel 2023.

Durante l’esecuzione della misura cautelare, la sua abitazione venne perquisita dalle forze dell’ordine, che trovarono cinque pistole clandestine e oltre mezzo milione di euro in contanti. L’investimento sfumato era legato a un progetto immobiliare che coinvolgeva Pietro Tindaro Mollica, imprenditore siciliano con attività nella zona di Roma. Ma Mollica venne raggiunto da una misura di prevenzione patrimoniale emessa dal Tribunale di Roma, a causa dell’evidente sproporzione tra redditi dichiarati e patrimonio posseduto. L’operazione immobiliare, per la quale Cozzolino aveva versato l’ingente somma, naufragò. È così che la vicenda che ha portato alla condanna di Cozzolino si intreccia con un’altra storia giudiziaria.

Nel 2019, la Cassazione confermò la confisca nei confronti di beni riconducibili a Mollica, originariamente disposta dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma. L’indagine della Guardia di Finanza aveva evidenziato come il profilo reddituale del siciliano fosse del tutto incompatibile con l’enorme patrimonio mobiliare e immobiliare (di milioni e milioni di euro) accumulato. Mollica era stato coinvolto anche nel crac del Consorzio Stabile Aedars, nel cui contesto sarebbero emersi – secondo gli investigatori – rapporti con soggetti legati ai clan mafiosi dei tortoriciani e dei barcellonesi.

Nel frattempo, Cozzolino aveva provato la strada giudiziaria per recuperare parte dell’investimento: presentò istanze di ammissione allo stato passivo per crediti relativi a forniture, lavori pubblici, mutui e consulenze connessi alle società confiscate a Mollica. Come lui, anche altri investitori tentarono la stessa via. Ma il tentativo di Cozzolino non andò a buon fine. Il suo ricorso venne respinto dalla Cassazione, che ha confermato il rigetto della sua opposizione all’esclusione dal passivo pronunciato dal Tribunale di Roma. Cozzolino rivendicava un credito di 1 milione e 580mila euro per somme versate nel 2011 a titolo di acconto, nell’ambito di contratti preliminari di compravendita immobiliare con la società Investimento 1 srl, ritenuta collegata al consorzio Aedars, per un periodo amministrata da Pasquale Lambiase, anch’egli – secondo l’accusa – poi vittima della tentata estorsione di Cozzolino

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