SANT’ANTIMO – E’ un intreccio di passioni malate, gelosie ossessive e logiche mafiose quello che emerge dall’indagine sull’agguato ai danni di Luca Di Stefano, ristoratore noto sui social con migliaia di follower su TikTok, vittima di un tentato omicidio lo scorso 13 maggio nella sua pescheria di Sant’Antimo. Tre le persone arrestate dalla polizia di Stato: Michele Orefice, 46 anni, ritenuto a capo dell’omonimo gruppo criminale vicino al clan Pezzella, il figlio Luigi Orefice, 20 anni, e Pietro D’Angelo, 23 anni. Era una serata come tante nel ristorante-pescheria “Il Sole di Not- te”, quando un uomo a volto coperto ha fatto irruzione nel locale.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato di Frattamaggiore, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea, l’aggressore poi identificato come Pietro D’Angelo – ha ordinato ai presenti di uscire. Pochi secondi dopo, ha raggiunto la cucina dove si trovava Di Stefano e ha aperto il fuoco. Due colpi sono partiti: uno ha colpito la vittima alla mano. A evitare il peggio è stata la reazione coraggiosa del ristoratore, che ha afferrato alcuni tavolini lanciandoli contro il sicario, riuscendo a sbilanciarlo proprio mentre premeva il grilletto.
Un elemento inatteso – il passaggio di un’auto con le sirene spiegate fuori dal locale – ha poi spinto l’aggressore alla fuga, prima che potesse completare il piano omicida. Dietro il raid armato, secondo le risultanze investigative, ci sarebbe stata la gelosia feroce di Michele Orefice, boss malavitoso e mente dell’agguato, accecato dalla rabbia per il presunto legame sentimentale tra Di Stefano e la sua ex amante. L’uomo, intercettato dagli inquirenti, aveva già commissionato un’aggressione contro la donna, da compiersi secondo le sue stesse parole per mano di “un paio di femmine”.
In una telefonata successiva, Orefice, parlando con la moglie, si è mostrato compiaciuto per le violenze subite dalla ex e si è perfino interessato a sapere se il pestaggio fosse stato filmato. La moglie gli ha confermato di aver registrato il momento in cui la donna, ferita e stesa a terra, gridava mentre alcune persone – identificati come cittadini extracomunitari – cercavano di soccorrerla. Le indagini hanno chiarito le responsabilità individuali: Michele Orefice ha dato l’ordine, suo figlio Luigi ha curato l’organizzazione logistica dell’agguato, mentre Pietro D’Angelo è stato l’esecutore materiale del tentato omicidio. Per tutti e tre, il gip ha disposto misure cautelari con accuse pesanti: tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco, ricettazione, il tutto aggravato dal metodo mafioso.