talia, terra di pallone e silenzi culturali

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Mentre il calcio monopolizza oltre 100 ore settimanali di programmazione, la cultura arranca tra documentari notturni e rare serate in prima serata. Un confronto impietoso che racconta più di quanto sembri.

In Italia il calcio non è più uno sport: è il sottofondo costante della vita quotidiana. Ogni settimana la televisione mette in scena un palinsesto che sembra costruito più per un campionato infinito che per un’offerta equilibrata di contenuti. Sommando le competizioni principali, la cifra è impressionante.

Illustrazione a cura di SILVANA ORSI – Tutti i diritti sono riservati

La Serie A propone dieci partite a giornata, tutte trasmesse integralmente; la Serie B aggiunge altre dieci. In Champions League, nei turni pieni, vanno in onda otto incontri, a cui si sommano i dodici di Europa League e gli otto di Conference League. I campionati esteri più seguiti Premier League, Liga, Bundesliga, Ligue 1 – riversano sui nostri schermi altre decine di match.

I numeri del calcio in TV

Il conto è presto fatto: in una singola settimana televisiva si superano tranquillamente le settanta-ottanta partite trasmesse. Se consideriamo una durata media di 100 minuti a incontro (novanta regolamentari più recuperi e intervalli), parliamo di oltre 120 ore di calcio disponibili per lo spettatore italiano in soli sette giorni. Una vera e propria maratona televisiva, che, se qualcuno volesse seguirla tutta, richiederebbe quasi diciassette ore al giorno da dedicare solo al pallone.

E la cultura?

Certo, esiste: Rai 5, Rai Storia e Rai Scuola continuano a proporre documentari, concerti, lezioni, approfondimenti storici e teatrali. Ma la loro visibilità è minima rispetto al fragore del calcio: pochi programmi in prima serata, spesso confinati a pubblici di nicchia, senza la risonanza né la ripetizione ossessiva che caratterizza lo sport nazionale.

In una settimana televisiva italiana, il calcio domina incontrastato con circa 120 ore di programmazione, distribuite su 70-80 partite che spaziano dalla Serie A e B alle competizioni europee e ai campionati esteri. Accanto a questo flusso sportivo, si ritagliano uno spazio più contenuto ma significativo i programmi culturali, che ammontano a circa 20-25 ore settimanali. Questi includono documentari, lezioni trasmesse da Rai Scuola, concerti e spettacoli teatrali, con una presenza marcata su canali come Rai 5, Rai Storia e Rai Scuola. Infine, il prime time culturale si riduce a una manciata di serate circa 3-4 ore settimanali dedicate alla cultura sui canali generalisti, segno di un’offerta che, pur presente, resta marginale rispetto all’invasiva centralità del calcio.

La sproporzione è evidente: il calcio non solo occupa lo spazio televisivo, ma detta i ritmi della settimana, scandisce le serate e diventa argomento di talk show e notiziari. La cultura, invece, resta in secondo piano, più un orpello che una colonna portante della programmazione.

Il risultato?

Una fotografia fedele dello stato della nostra comunicazione. L’Italia che ogni giorno ha a disposizione ore e ore di calcio e solo briciole di cultura è la stessa che fatica a pensarsi come Paese della conoscenza. Forse non c’è nulla di male ad amare il pallone, ma il rischio è che, a furia di contare le partite, ci si dimentichi di contare i libri, i concerti, i teatri, i documentari.

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