AFRAGOLA – All’inizio sembrava un’altra tragedia domestica, l’ennesimo dramma silenzioso maturato nel dolore di una solitudine invisibile. Quando i vigili del fuoco sono entrati in quell’abitazione di Afragola, lo scorso 31 luglio, si sono trovati di fronte una scena straziante: Vincenza Russo, 70 anni, era riversa a terra con il corpo devastato dalle fiamme, in fin di vita. Accanto a lei, il figlio Gaetano Giuseppe Moccia, 38 anni, appariva disperato. Diceva di aver fatto di tutto per salvarla, di aver cercato di spegnere il fuoco, di aver urlato aiuto per richiamare l’attenzione dei vicini. Tutto lasciava pensare a un tragico incidente o a un gesto estremo. Ma la verità, con il passare dei giorni, ha preso una piega ben diversa. Dopo due settimane di agonia in ospedale, Vincenza è morta il 15 agosto. E le indagini avviate subito dopo il ricovero hanno portato alla luce un orrore difficile da accettare: la donna non si era data fuoco. Era stata uccisa. E a farlo, secondo i carabinieri della stazione di Afragola e la Procura di Napoli Nord, sarebbe stato proprio il figlio.
La ricostruzione fatta dagli investigatori è agghiacciante: Gaetano Moccia, in un impeto di rabbia cieca, avrebbe cosparso la madre di alcol e poi le avrebbe dato fuoco con un accendino. Dopodiché si sarebbe seduto sul divano ad osservare la scena, ignorando le richieste di aiuto della madre. Una violenza brutale, nata – stando agli elementi raccolti – da un rapporto definito “morboso e tossico”, segnato da gelosie e dipendenza affettiva. La miccia che ha fatto esplodere l’odio? La scoperta che la madre, a 70 anni, aveva iniziato una nuova relazione sentimentale. Un fatto che Moccia, descritto come possessivo e incapace di accettare l’autonomia emotiva della madre, non sarebbe riuscito a tollerare.
Chi lo conosceva non lo descriveva come un uomo violento, almeno in apparenza. E nemmeno le sue condizioni psichiche sembravano
incompatibili con la vita sociale. Soffre di schizofrenia paranoidea, ma la malattia era tenuta sotto controllo da anni grazie a una terapia farmacologica regolare. Proprio per questo, dopo essere stato sottoposto a consulenza psichiatrica, è stato ritenuto capace di intendere e di volere. Nonostante la patologia, per la giustizia italiana, può rispondere delle sue azioni. Ieri mattina, a chiudere il cerchio investigativo, l’arresto. I carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato. Una decisione che segna la fine dell’inchiesta, ma non certo del dolore: quello di una donna che, forse per troppo amore verso un figlio fragile, ha pagato con la vita la speranza di rifarsi un’esistenza. La comunità di Afragola è sconvolta. Una vicenda che lascia senza parole, perché dietro le mura di casa, in quella che dovrebbe essere una zona sicura, si è consumata una delle forme più crudeli di violenza: quella che nasce tra le pieghe malate degli affetti.