Casal di Principe, Gargiulo nuovo reggente del clan: Bidognetti jr lo scelse tre anni fa

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Nicola Gargiulo e Gianluca Bidognetti

CASAL DI PRINCIPE – La Corte di Cassazione ha messo il sigillo su una delle vicende giudiziarie più delicate che riguardano la nuova geografia del potere criminale nel Casertano. Nelle motivazioni depositate mercoledì scorso, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di Nicola Gargiulo, 58 anni, di Lusciano, contro l’ordinanza di custodia cautelare che lo aveva portato in carcere lo scorso aprile. Per i giudici, non ci sono dubbi: Gargiulo è stato investito della reggenza del clan Bidognetti, una delle storiche fazioni del clan dei Casalesi, erede diretto di quella che per decenni è stata una delle organizzazioni mafiose più potenti e radicate del Sud Italia. Secondo la ricostruzione della Cassazione, l’investitura di Gargiulo sarebbe avvenuta nel 2022 per volere di Gianluca Bidognetti, figlio di Francesco “Cicciotto ’e mezzanotte”, boss detenuto al regime del 41 bis. La decisione avrebbe segnato la fine del periodo di comando di Giosuè Fioretto, fino ad allora figura di riferimento per la cosca nelle aree di Lusciano, Parete e Castelvolturno.

La Corte, presieduta da Alfredo Guardiano e con relatore il consigliere Andreina Occhipinti, ha respinto ogni argomento della difesa, che aveva contestato la carenza di prove e la presunta contraddittorietà delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Vincenzo D’Angelo e Antonio Lanza. Per i giudici, invece, le loro testimonianze sono risultate “autonome, coerenti e precise”, tali da confermare senza ambiguità il ruolo assunto da Gargiulo all’interno della consorteria. Nelle motivazioni, la Suprema Corte evidenzia come le informazioni fornite dai due pentiti siano frutto di “diretta partecipazione alle riunioni organizzative del clan e alle conversazioni telefoniche con Gianluca Bidognetti”. In altre parole, non si tratta di voci di corridoio, ma di racconti di prima mano. La Cassazione ha escluso anche il rischio di “circolarità della prova”, cioè la possibilità che le testimonianze si fossero influenzate a vicenda, riconoscendo invece una chiara autonomia delle fonti. Un passaggio centrale della sentenza riguarda la tentata estorsione ai danni di un imprenditore edile, ritenuta un episodio chiave per comprendere il peso criminale assunto da Gargiulo.

L’imprenditore, dopo aver ricevuto una richiesta di denaro, si era rivolto a un altro noto esponente della criminalità locale, Nicola Garofalo, manifestando l’intenzione di resistere alle pretese del clan. Proprio in occasione di un incontro tra l’imprenditore e un esponente della cosca, finalizzato a chiarire la vicenda, sarebbe comparso anche Gargiulo, la cui presenza – pur non sfociata in un provvedimento cautelare specifico – è stata giudicata “indicativa del suo ruolo apicale nel gruppo”. Secondo il Tribunale del riesame di Napoli, poi confermato in pieno
dalla Cassazione, quel gesto ha rappresentato una prova concreta dell’autorità esercitata da Gargiulo nei territori controllati dal clan.

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