CASAL DI PRINCIPE – La forza di un clan si misura anche dalla sua capacità di proteggere i latitanti. E in quegli anni – parliamo del 2010 – i Casalesi avevano ben tre uomini di vertice in fuga: Michele Zagaria, Antonio Iovine e Nicola Schiavone. Stanarli e ammanettarli, per lo Stato, era una priorità: prenderli significava assestare un duro colpo alla struttura mafiosa che spargeva sangue e toglieva il respiro a imprenditori e commercianti onesti. E per catturarli, come abbiamo già raccontato in diversi articoli, sarebbero intervenuti (o almeno ci avrebbero provato) anche i servizi di intelligence.
L’ultimo capitolo di queste operazioni, che avrebbero coinvolto apparati dei servizi segreti, è emerso nell’inchiesta condotta dai carabinieri di Caserta e coordinata dalla Dda di Napoli, tesa a ricostruire il presunto sistema criminale messo in piedi da Nicola Ferraro, detto Fucone – già condannato per concorso esterno al clan – ritenuto in grado, secondo l’accusa, di far ottenere appalti a ditte ‘amiche’ nei settori dell’igiene urbana e della sanificazione, corrompendo, facendo leva sulla forza mafiosa o su agganci politici.
Trattativa Stato-mafia? Un patto con Nicola Schiavone per catturare Zagaria e Iovine: spunta un…
Durante le indagini, i carabinieri hanno appreso che un sedicente uomo appartenente ai servizi avrebbe incontrato – tramite Luigi Ferraro, fratello di Nicola – due luogotenenti di Nicola Schiavone, all’epoca anche lui latitante, per proporgli un accordo: un trattamento di favore per la sua cosca in cambio di informazioni utili alla cattura di Michele Zagaria e Antonio Iovine.
Quell’incontro, secondo le dichiarazioni rese da Schiavone, sarebbe stato registrato e il video consegnato a un avvocato; una copia, sostiene lo stesso Schiavone, fu data anche allo zio Antonio Schiavone, di recente finito in carcere per vicende di riciclaggio legate ad alcuni terreni riconducibili al fratello, Francesco Sandokan, storico capoclan e padre di Nicola.
In quello stesso periodo, però, con modalità simili, si sarebbe mosso anche un poliziotto già noto alle cronache giudiziarie, Oscar Vesevo, all’epoca in forza alla Squadra mobile di Napoli.
Vesevo è noto per un’inchiesta – conclusa con la sua assoluzione – in cui era accusato di aver sottratto una pendrive dal covo di Zagaria per poi rivenderla a soggetti legati al clan. Secondo quanto riferito da Nicola Schiavone e da altri collaboratori di giustizia, nel 2010 Vesevo avrebbe cercato di avvicinare uomini di fiducia del figlio di Sandokan per ottenere informazioni su Iovine e Zagaria.
Spy story dei Casalesi, i servizi segreti sulla cattura di Zagaria: la relazione top…
Il collaboratore Francesco Barbato, alias ‘o sbirro, ha raccontato che l’agente fermava Bartolomeo Cacciapuoti e Bernardo Ciervo, chiedendo loro aiuto e invitandoli a inviare un messaggio a Schiavone per organizzare un incontro. Barbato riferì di aver segnalato l’episodio al presunto agente dei servizi, che gli avrebbe risposto che sarebbe intervenuto lui direttamente su Vesevo. Questo tentativo di approccio è stato confermato an che da Nicola Schiavone alla Dda, che ha precisato di essere rimasto preoccupato: contatti di quel tipo con i suoi uomini di fiducia avrebbero potuto scatenare tensioni o una guerra interna con Iovine e Zagaria.
Tali circostanze, almeno per quanto oggi noto, non hanno portato a contestazioni penali. Se la Dda ha inserito queste ricostruzioni nel fascicolo d’inchiesta su Ferraro, è per delineare la rete di rapporti e contiguità tra il gruppo vicino a Fucone e quello riconducibile a Schiavone.
Al di là delle motivazioni investigative che hanno spinto la Direzione distrettuale antimafia a ripercorrere questa vicenda, un elemento appare evidente: se le ipotesi fossero confermate, emergerebbe come una parte dello Stato, nel tentativo di combattere la mafia, abbia finito per interloquire (trattare) con la mafia stessa — o almeno con alcuni suoi pezzi.



















