Spy story dei Casalesi, i servizi segreti sulla cattura di Zagaria: la relazione top secret su Enrico Parente

In alto Michele Zagaria, in basso Enrico Parente

CASAPESENNA – Una relazione coperta da segreto di Stato, il viaggio di un sindaco in Austria e un comune sciolto per mafia: a legare i tre temi la figura di un capoclan in grado di resistere 16 anni da latitante. Chi? Michele Capastorta Zagaria.

Il viaggio ad Innsbruck

Il 24 gennaio del 2009 Enrico Parente, medico dell’Asl e sindaco di Grazzanise, secondo la Dda di Napoli, si recò ad Innsbruck per incontrare il boss di Casapesenna: quella traversata, 4 anni dopo, gli è costata una condanna (a 2 anni) per favoreggiamento aggravato dalla finalità mafiosa.

Ma prima del verdetto, quando l’indagine della procura distrettuale sul viaggio occupò le prime pagine dei giornali (con il no del gip all’arresto di Parente), i consiglieri di maggioranza (era il 2012) si dimisero alla spicciolata. A guidare il Comune, in quel periodo, non c’era più Enrico, ma il figlio Pietro.

Lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa

Tuttavia lo stop alla consiliatura non impedi l’invio da parte del Viminale di una commissione d’accesso chiamata a verificare i presunti rapporti tra l’ex sindaco (nel 2010 eletto consigliere nella civica capeggiata dal primogenito Pietro) e il clan dei Casalesi. E il risultato fu una relazione che portò nel 2013 allo scioglimento (il terzo) per infiltrazione mafiosa di Grazzanise.

Il ricorso al Tar

Contro la decisione del presidente della Repubblica (che aveva ratificato il provvedimento del Consiglio dei ministri), l’ex primo cittadino Pietro Parente, assistito dall’avvocato Vincenzo Romano, Vito Gravante, Vincenzo Morico, Salvatore Raimondo e Virgilio D’Abrosca, componenti della sua giunta, rappresentati dal legale Salvatore Piccolo, avevano presentato ricorso al Tar Lazio. Secondo i legali non c’erano motivi sufficienti per sciogliere Grazzanise.

Gli atti secretati

Il caso è stato trattato dai giudici amministrativi di Roma soltanto pochi mesi fa. Avevano evidenziato che per affrontare l’istanza era necessario esaminare alcuni atti secretati. Si riferivano ad un documento del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica di Caserta. Il Tar è riuscito ad ottenerlo, permettendo anche alle parti di prenderne visione (ma accompagnate da un sottufficiale con il divieto di estrarne copia).

La relazione dei servizi segreti

E tra quegli atti è spuntata una relazione dei servizi segreti. L’intelligence italiana, impegnata a controllare il clan Zagaria e a ricercare il suo leader, monitorava Enrico Parente proprio nel periodo del suo viaggio in Austria. Da quella relazione emergono presunti contatti tra il sindaco dell’epoca e uomini dell’intelligence (di che tipo e con quale frequenza non è dato sapere).

Il Tar è tornato a trattare il ricorso sullo scioglimento mercoledì scorso. Ma gli ex assessori sono intenzionati a dichiarare la perdita di interesse in merito alla causa: sono trascorsi sette anni. Tanti. E dopo l’arrivo della commissione straordinaria, inoltre, si è tenuta un’altra votazione, nel 2015, che ha eletto sindaco proprio Gravante (la sua consiliatura è terminata a luglio con le dimissioni in contemporanea di 8 consiglieri). La difesa di Pietro Parente, invece, la cui istanza sarà valutata separatamente, è intenzionata a proseguire l’iter giudiziario.

L’articolo pubblicato da Cronache di Caserta
I nodi irrisolti

La latitanza e la cattura di Michele Zagaria rappresentano una delle pagine con più interrogativi irrisolti nella storia della lotta alla mafia. E’ il boss che ha cambiato il modo di fare camorra nell’Agro aversano: ha trasformato una cosca militarmente organizzata in una holding capace di trattare con politici e imprenditori di alto livello. Capastorta, circa dieci anni fa, avrebbe avuto un ruolo centrale nel business rifiuti durante l’emergenza ambientale che mise in ginocchio le province di Napoli e Caserta. Ma nel dettaglio, che ruolo svolse? Con chi si sarebbe interfacciato? Tante le incognite pure sul blitz di via Mascagni del 7 dicembre 2011, quando venne catturato nella casa di Vincenzo Inquieto. Come venne stanato è stato oggetto del processo ‘Medea’ (due settimane fa si è concluso l’Appello di uno dei due filoni dell’inchiesta), a carico di colletti bianchi ritenuti vicini al boss, e dell’iter (ancora in corso in primo grado) che coinvolge Oscar Vesevo, il poliziotto (accusato di peculato, corruzione e truffa), all’epoca in servizio presso la Squadra Mobile di Napoli: è uno degli agenti che scese nel bunker per arrestare il boss. Da sbrogliare c’è l’arcano della chiavetta usb (a forma di cuore) sparita dal covo (secondo la Dda l’avrebbe presa proprio Vesevo): cosa c’era su quella pendrive? E a chi sarebbe stata consegnata in cambio di 50mila euro? Sono domande alle quali la Dda ancora non è riuscita a rispondere. Ed ora, ad inspessire il mistero c’è pure l’azione dell’intelligence a Grazzanise in uno dei periodi clou della latitanza del boss.

La morte di Parente

Enrico Parente è scomparso nel settembre del 2016, tre mesi dopo il suo arresto cautelare per concorso esterno al clan dei Casalesi e turbativa d’asta. L’inchiesta per favoreggiamento al boss, coordinata dal pm Antonello Ardituro, che lo coinvolse nel 2011, fu solo l’inizio del lavoro dei carabinieri di Grazzanise teso ad attestare i rapporti tra il medico e la mafia locale, rapporti che però, a causa della sua scomparsa, non sono mai stati valutati da un tribunale.

Le nuove domande

L’azione dei servizi segreti nei Mazzoni (finita in una relazione secretata) spinge a rimettere in discussione la storia finora tracciata nelle carte giudiziarie: Parente incontrò realmente Zagaria ad Innsbruck? E se si fosse visto davvero con il boss, è stato per ‘curarlo’, come hanno ipotizzato gli investigatori, o per trattare altri argomenti?

Ritornando al viaggio dell’ex sindaco del gennaio 2009, quando superò il confine austriaco, al casello autostradale non voleva pagare il ticket dicendo di essere diretto ‘al consolato’. E ad Innsbruck c’è proprio il consolato onorario italiano: era diretto là? A far cosa? Che tipo di relazione avrebbe avuto l’ex sindaco con i Servizi? Era soltanto monitorato o aveva interagito con agenti sotto-copertura?

La conversazione con il cugino imprenditore

Per completare il quadro, caratterizzato da troppi punti oscuri, bisogna inserire la conversazione intercettata dai carabinieri tra Enrico Parente e il suo cugino omonimo, imprenditore nel settore caseario (assolto in Appello, dopo la condanna in primo grado, dalla stessa accusa contestata al politico: favoreggiamento aggravato dalla finalità mafiosa).

Quella conversazione ascoltata dai militari dell’Arma (successiva alla trasferta austriaca) è stata inserita nella sentenza a carico dell’ex primo cittadino. Era il 14 febbraio del 2009: i due, ricostruisce il giudice Isabella Iaselli, si trovano nell’Alfa 166 (l’auto del sindaco): “Lui – inizia a parlare il cugino – ha detto che ti eri messo a disposizione per un suo amico ecc… ora ti vorrebbe chiedere un’altra cortesia […] Per un cardiologo”. Il politico domanda: “Cioè va trovando una visita cardiologica?”. E il cugino annuisce, per poi essere più chiaro: “Questo qua è il braccio destro…”. “E’ un mezzo delinquente – chiede ancora il politico – o un delinquente del clan Zagaria? Michele, chi è il latitante? Il primo dei quattro?”. “Perfetto”, conferma l’imprenditore: “[…] Questo è proprio Michele Zagaria che ha bisogno del controllo”.

Il vincolo degli Zagaria

Il clan Zagaria somiglia ad una ‘ndrina calabrese: prima ancora di fondarsi sul vincolo di omertà dei Casalesi, è una cosca i cui esponenti di vertice sono legati da stretti legami familiari. Parlare per loro significherebbe tradire il proprio sangue. Gli affiliati pentiti lo hanno ripetuto ai pm in diverse occasioni: determinate relazioni e gli affari importanti erano noti solo a fratelli e sorelle del capoclan. L’unico che potrebbe chiarire cosa sia successo in quel periodo (tra il 2009 e il 2011) è proprio Michele Zagaria: ma fatta eccezione per una lettera inviata dal carcere alla sorella Beatrice (clicca qui per leggerla), nella quale aveva ipotizzato una sua collaborazione con la giustizia, non ha più manifestato segnali reali di cedimento. Solo sceneggiate (durante i videocollegamenti dalla prigione con i tribunali) per lanciare segnali ai suoi sodali liberi.

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