CASAL DI PRINCIPE – Pensare che decenni di dominio criminale, appalti truccati e sangue versato abbiano lasciato in eredità solo terreni sarebbe ingenuo. Dietro la storia della famiglia Schiavone, cuore del clan dei Casalesi, si nasconde un patrimonio ingente, in parte finito all’estero e in parte reinvestito in attività commerciali e imprese locali, gestite da imprenditori all’apparenza insospettabili. È attraverso loro che il denaro del clan sarebbe stato ripulito, garantendo sostegno economico e coperture ai vertici della cosca. Il meccanismo si inceppa, però, quando gli esponenti della famiglia, lontani per anni dal territorio a causa della detenzione, tornano a chiedere indietro quei beni per monetizzarli. È in quei momenti – spiegano gli investigatori – che possono nascere conflitti e cortocircuiti capaci di rivelare l’esistenza di patrimoni occulti. È quanto accaduto anche nel caso dei 13 ettari a ridosso dell’aeroporto militare di Grazzanise, riconducibili al boss Francesco Schiavone, che il figlio Ivanhoe, bisognoso di liquidità, spingeva per vendere.
Durante quell’indagine (che lo scorso luglio ha fatto scattare due misure cautelari), la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha raccolto nuove informazioni sui beni della famiglia grazie alle dichiarazioni di Nicola Schiavone, primogenito di Sandokan, e della madre Giuseppina Nappa, oggi collaboratori di giustizia. Proprio quest’ultima, ascoltata dai magistrati lo scorso novembre, ha parlato – oltre che di fondi agricoli e abitazioni – anche di una parafarmacia riconducibile agli investimenti mafiosi della cosca del marito.
La parafarmacia sarebbe stata oggetto, ha riferito Nappa, di rivendicazioni da parte del figlio più piccolo, Emanuele Libero Schiavone, uscito dal carcere nell’aprile 2024 e tornato dietro le sbarre due mesi dopo per spaccio di droga e detenzione di armi.
Secondo quanto emerso, Emanuele avrebbe lamentato la perdita del controllo di quell’attività con lo zio Antonio Schiavone. Gli investigatori stanno ora verificando le tracce dei beni indicate dalla Nappa. La pista potrebbe far luce sui patrimoni mai emersi del clan Schiavone, un sistema che – nonostante arresti, condanne e collaborazioni – continua a mostrare la propria capacità di rigenerarsi e di muovere capitali attraverso attività solo in apparenza lecite.
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