CASAL DI PRINCIPE – Un traffico internazionale di droga gestito da una rete di nigeriani, il tentativo di un esponente del clan dei Casalesi di inserirsi nell’affare, l’arresto di uno dei corrieri e il suo pentimento: sono gli elementi che costituiscono la base dell’indagine, coordinata dalla Dda di Perugia, sfociata ieri nell’ordinanza di custodia cautelare per due persone. Destinatari della misura sono Nicola Pezzella, alias
Palummiello, storico referente del clan dei Casalesi, e il fratello Massimo. I due sono ritenuti responsabili, in concorso, di induzione a non rendere dichiarazioni o a renderle mendaci all’autorità giudiziaria (con l’aggravante mafiosa). Questa ipotizzata condotta criminale si intreccia proprio con gli elementi prima citati: il business dei narcotici, l’uomo di mafia e il pentito.
Come? L’attività investigativa dei carabinieri di Perugia nel 2023 – mentre ricostruivano le trame della compravendita di stupefacenti in mano ai nigeriani – portò all’arresto in flagranza di un soggetto che trasportava 35 chili tra eroina e cocaina. Chi era? e.a.. Fu bloccato al confine con la Francia. Poco dopo, l’uomo, ora 53enne, iniziò a collaborare con la giustizia, fornendo elementi sulle attività del sodalizio criminale, all’interno del quale figurava, secondo quanto ricostruito dalla Dda, proprio Nicola Pezzella. Le dichiarazioni del collaboratore contribuirono a portare, nell’aprile dello scorso anno, all’esecuzione di 24 misure cautelari. Tra chi venne raggiunto dall’ordinanza c’era anche Pezzella, adesso detenuto nel carcere di Voghera. Ma le indagini dei carabinieri non si sono fermate a quel blitz. Sono andate avanti e – stando a quanto ritiene l’Antimafia – avrebbero accertato che Palummiello, pur essendo in cella, tra maggio 2024 e giugno 2025, con la collaborazione del fratello Massimo, avrebbe fatto recapitare al collaboratore otto lettere, dattiloscritte e manoscritte, dal contenuto intimidatorio.
L’obiettivo di queste missive, sostengono gli inquirenti, era indurre il pentito a non rendere dichiarazioni o a fornirne di false, in modo da favorire il coimputato nel procedimento sul traffico internazionale di stupefacenti destinati alle piazze di spaccio di Perugia e di altre aree del Paese. L’ordinanza eseguita ieri dai carabinieri rientra nella fase delle indagini preliminari: gli inquisiti, assistiti dall’avvocato Danilo Di Cecco, sono da considerarsi innocenti fino a sentenza definitiva. L’eventuale processo potrà accertare – o escludere – ogni responsabilità. Se confermata, la condotta di Pezzella mostrerebbe però un dato noto ma sempre più evidente: per alcuni esponenti di vertice delle organizzazioni mafiose il carcere non è un deterrente assoluto. Dalla cella, appoggiandosi a familiari e fiancheggiatori, riescono
ancora a veicolare ordini e strategie.
È un meccanismo già visto: il caso più clamoroso (nei tempi recenti) resta quello di Gianluca Bidognetti, detto Nanà, che ha guidato la cosca almeno fino al 2022 – giorno del suo ultimo arresto – pur essendo recluso nel reparto di alta sicurezza del carcere di Terni. Anche lui utilizzava i familiari (soprattutto il cognato, Vincenzo d’Angelo) e una rete esterna di fiancheggiatori, contattati grazie a telefoni clandestini che circolavano nella struttura. Emersi questi canali, Bidognetti è stato poi spostato al 41 bis. C’è poi un’altra considerazione che emerge dalla vicenda Palummiello: l’adesione ormai plastica del clan dei Casalesi – quanto meno di alcuni suoi componenti – al mondo della droga. Da business marginale, tollerato o delegato, è diventato un affare centrale, un settore che produce utili e che la camorra, per sopravvivere, non può più permettersi di lasciare ad altri.






















