BAGHDAD (Giuseppe Palmieri) – L’Iraq è stanco. I cittadini non ne possono più di misure di sicurezza blindate, di guerra, attentati, di una politica che annuncia una rinascita che non arriva mai. Il risultato è che alle elezioni di ieri si è recato alle urne solo il 44% degli aventi diritto. Mai, dal 2003 (anno in cui è caduto il regime di Saddam Hussein), l’affluenza era stata inferiore al 60%.
Trasporti vietati e difficoltà nel sistema elettronico
Oltre agli attentati, che pure nelle ultime ore hanno fatto sei vittime tra le forze di sicurezza, a tenere gli elettori lontani dalle urne sono state anche le difficoltà legate al nuovo sistema di voto elettronico. In ogni caso, la commissione ha fatto sapere che i risultati saranno resi noti nel corso delle prossime 48 ore. Affluenza bassissima anche nella capitale Baghdad. Strade vuote, trasporto pubblico vietato, difficoltà ad arrivare in seggi posizionati anche a distanze notevoli. Particolarmente scarsa la partecipazione degli sfollati. Un Paese in macerie che ha voglia di risposte, non promesse.
Come in Italia, trattative in vista per la formazione del governo
Come sta avvenendo in Italia, anche in Iraq difficilmente qualcuno conquisterà la maggioranza assoluta. Saranno necessarie, quindi, non semplici trattative per arrivare alla formazione di un nuovo governo. Fino a quando viene scelto un nuovo primo ministro, Haider al-Abadi, in corsa per la riconferma, rimarrà in carica e conserverà tutti i suoi poteri. La Costituzione fissa alcuni importanti paletti. Il premier dovrà essere sciita, a curdi e sunniti altre cariche importanti, un quarto dei parlamentari dovrà essere donna.
Il premier uscente e i principali sfidanti
A contendere la guida del Paese ad al-Abadi (con il quale è stata condotta vittoriosamente la guerra contro l’Isis) ci sono, in particolare, Muqtada al-Sadr, un nazionalista convinto che ha fatto campagna contro la corruzione del governo e l’ex premier Nouri al-Maliki. Ma in molti puntano sulla grande rincorsa di Hadi al-Amiri, un comandante paramilitare che guida l’alleanza di Fatah. Sullo sfondo i rapporti con l’Iran, che aspetta i risultati anche per rafforzarsi politicamente in un momento di rapporti ai minimi storici con gli Stati Uniti.