Shein: abiti tossici, allarme Ue

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Un recente rapporto di Greenpeace Germania ha rivelato che gli abiti di Shein contengono ancora sostanze chimiche pericolose, superando i limiti imposti dall’Unione Europea. L’indagine, diffusa a pochi giorni dal Black Friday, ha analizzato 56 capi venduti dal colosso cinese del fast fashion, nell’ambito dell’inchiesta “Shame on you, Shein!”. Circa un terzo degli indumenti testati, precisamente 18 su 56, ha evidenziato la presenza di sostanze pericolose oltre i limiti stabiliti dal Regolamento europeo per le sostanze chimiche (REACH), compresi alcuni vestiti per bambini.

Greenpeace ha rilevato plastificanti ftalati e PFAS, i cosiddetti “inquinanti eterni”, noti per le loro proprietà idrorepellenti e antimacchia. Tali sostanze sono correlate a problemi di salute come cancro, disturbi riproduttivi e della crescita, e indebolimento del sistema immunitario. L’esposizione a queste sostanze mette a rischio i lavoratori e l’ambiente nei Paesi di produzione, ma anche i consumatori finali, attraverso il contatto con la pelle, il sudore o l’inalazione delle fibre degli indumenti. Una volta lavati o gettati via, i capi possono contaminare il suolo e i fiumi, entrando nella catena alimentare. Già nel 2022, Greenpeace aveva individuato sostanze chimiche pericolose oltre i limiti legali nei prodotti Shein. Dopo l’indagine, l’azienda ha ritirato gli articoli, impegnandosi a migliorare la gestione delle sostanze chimiche. Tuttavia, le nuove analisi dimostrano che il problema persiste.

Moritz Jäger-Roschko, esperto di Greenpeace sull’economia circolare, ha dichiarato che Shein rappresenta un sistema guasto di sovrapproduzione, avidità e inquinamento. Il gigante del fast fashion inonda il pianeta di abiti di bassa qualità che, nonostante le promesse, risultano contaminati da sostanze chimiche pericolose. Il Black Friday porterà questa follia della moda veloce all’estremo. L’azienda sembra disposta ad accettare danni alle persone e all’ambiente: i prodotti segnalati nei test precedenti riappaiono in forma quasi identica, con le stesse sostanze pericolose. Questi risultati dimostrano che l’autoregolamentazione volontaria è inutile e che sono necessarie leggi anti-fast fashion vincolanti per responsabilizzare i produttori.

Con 363 milioni di visite mensili, Shein.com è il sito di moda più visitato al mondo, superando il traffico di Nike, Myntra e H&M messi insieme. La piattaforma offre oltre mezzo milione di modelli, venti volte la gamma di H&M. Il colosso cinese continua a crescere, con un fatturato passato da 23 miliardi di dollari nel 2022 a 38 miliardi nel 2024. Parallelamente, le sue emissioni sono quadruplicate negli ultimi tre anni, e il poliestere, una plastica derivante dai combustibili fossili, rappresenta l’82% delle fibre utilizzate da Shein. Nonostante ripetute multe da milioni di euro, l’azienda continua a sfruttare scappatoie doganali e a violare le norme per la tutela dei consumatori e dell’ambiente, eludendo i controlli sulle sostanze chimiche e contribuendo a generare enormi quantità di rifiuti tessili.

Secondo Greenpeace, una legge ispirata alla normativa entrata in vigore in Francia, che ha introdotto una tassa sul fast fashion, promosso l’economia tessile circolare e vietato la pubblicità della moda ultraveloce, potrebbe frenare questa sovrapproduzione e mitigare gli impatti dannosi dell’industria. L’organizzazione ambientalista chiede di applicare la legislazione europea sulle sostanze chimiche a tutti i prodotti venduti nell’UE, compresi quelli online, di rendere le piattaforme legalmente responsabili di eventuali violazioni e di consentire alle autorità la loro sospensione in caso di ripetute inosservanze. Solo una regolamentazione vincolante può proteggere la salute dei consumatori e gli ecosistemi globali. L’indagine completa di Greenpeace è disponibile online. L’organizzazione sollecita un intervento legislativo immediato per affrontare la crisi del fast fashion e proteggere l’ambiente e la salute pubblica dai pericoli derivanti dalle sostanze chimiche tossiche presenti negli indumenti. L’auspicio è che i risultati dell’indagine possano spingere i legislatori europei a intraprendere azioni concrete per regolamentare l’industria della moda e garantire la sicurezza dei prodotti offerti ai consumatori. La trasparenza e la tracciabilità delle filiere produttive sono elementi fondamentali per contrastare le pratiche commerciali scorrette e promuovere una moda più sostenibile e responsabile. Il futuro del settore tessile dipende dalla capacità di adottare modelli di produzione e consumo più rispettosi dell’ambiente e della salute umana. L’impegno di Greenpeace in questa battaglia continua e si rafforza, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare un cambiamento di rotta verso un’economia più circolare e sostenibile.

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