Foche leopardo: lutto per i cuccioli morti

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Lutto animale
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Un comportamento raro e toccante, solitamente associato a mammiferi sociali come primati ed elefanti, è stato documentato per la prima volta in un predatore solitario: la foca leopardo. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Polar Biology ha rivelato diversi episodi di cure parentali rivolte a cuccioli già morti, osservati nelle acque della Patagonia. Questa scoperta apre nuove domande sul mondo emotivo e istintivo di questi animali.

Questo fenomeno, noto in etologia come “comportamento di attenzione post-mortem”, consiste nel custodire, toccare e proteggere il corpo di un piccolo deceduto, talvolta tentando di stimolarlo o allattarlo. Sebbene sia stato riscontrato in specie come scimpanzé, giraffe, dingo e maiali, la sua manifestazione nei mammiferi marini rimane un evento molto meno osservato, anche per le difficoltà logistiche del monitoraggio in ambiente acquatico.

Tra gli animali acquatici, simili gesti sono stati notati soprattutto in grandi cetacei come balene, delfini e focene, organismi che vengono seguiti più da vicino dai ricercatori. Nei pinnipedi, la famiglia che include foche, leoni marini e trichechi, i casi documentati prima di questa ricerca erano appena sei in totale. L’eccezionalità dei nuovi dati risiede quindi non solo nella specie coinvolta, ma anche nella quantità di episodi registrati.

Il team di ricerca della University of Rhode Island ha filmato e fotografato femmine di foca leopardo che si prendevano cura dei corpi senza vita dei loro piccoli per giorni, in alcuni casi per intere settimane. Questo legame persisteva nonostante l’evidente stato di decomposizione. In un caso particolarmente toccante, una femmina ha ripetuto questo comportamento in diverse occasioni nel corso degli anni, suggerendo che non si tratti di un evento isolato ma di una tendenza comportamentale consolidata.

L’aspetto più enigmatico di queste cure è la loro apparente inutilità dal punto di vista evolutivo. Gli scienziati lo definiscono un “tratto disadattativo”, ovvero una caratteristica che non porta alcun beneficio alla sopravvivenza della specie. Al contrario, comporta uno spreco di tempo ed energie preziose che la madre potrebbe impiegare per cacciare, recuperare le forze e prepararsi a una nuova stagione riproduttiva.

Perché, allora, una madre insiste nel curare un cucciolo senza vita? Una delle ipotesi più accreditate è di natura chimica e ormonale. Il profondo legame materno, scatenato da un’ondata di ossitocina e altri ormoni dopo il parto, potrebbe essere così potente da persistere anche di fronte alla morte del piccolo. Questa reazione istintiva spingerebbe la madre a continuare i suoi gesti di accudimento, quasi come se non riuscisse a “spegnere” l’impulso parentale. Gli scienziati sperano che future osservazioni possano fare luce su questo mistero del regno animale.

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