I vertici di Confindustria Ceramica, affiancati dai rappresentanti delle principali aziende del settore, si sono recati a Bruxelles per una serie di incontri con le istituzioni europee, incluso il vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto. L’obiettivo della missione è stato illustrare come l’industria italiana della ceramica, un comparto ad alta intensità energetica e fortemente orientato all’export, rischi una crisi sistemica entro pochi anni in assenza di interventi mirati.
Il settore, che attualmente conta 248 imprese con 26mila dipendenti diretti e un indotto di 40mila persone, genera oltre 6,3 miliardi di euro di export. La sua tenuta, tuttavia, è seriamente minacciata. Secondo le imprese, l’attuale configurazione delle politiche climatiche, unita all’aumento vertiginoso dei costi legati al sistema europeo ETS di scambio di crediti di carbonio, sta erodendo rapidamente competitività e capacità di investimento.
Senza una revisione immediata di norme e scadenze, il rischio è la chiusura progressiva degli impianti europei e lo spostamento della produzione in Paesi extra-Ue, privi di standard ambientali e sociali comparabili. Augusto Ciarrocchi, presidente di Confindustria Ceramica, ha sottolineato: «Il nostro settore è leader mondiale nell’efficienza e nel contenimento delle emissioni grazie a investimenti per 4,3 miliardi di euro nell’ultimo decennio. Ma siamo di fronte a un punto di rottura».
Il presidente ha spiegato come il sistema ETS sia diventato una carbon tax che soffoca la capacità di investire. «In un solo anno, gli investimenti del settore si sono ridotti del 20%, un calo di 80 milioni di euro che equivale ai costi ETS pagati dalle nostre imprese, mettendo a repentaglio la nostra posizione sui mercati e i posti di lavoro». La sua conclusione è netta: «Senza correttivi immediati l’Europa finirà per premiare chi inquina fuori dai suoi confini e penalizzare chi, come noi, investe davvero nell’ambiente».
Sulla stessa linea si è espresso Aurelio Regina, delegato di Confindustria per l’Energia: «Siamo al fianco delle nostre imprese per invertire la rotta delle folli politiche europee per la decarbonizzazione che rischiano di deindustrializzare il continente». Regina ha poi ricordato che l’Ue, pur contribuendo solo per il 6% delle emissioni globali, ha imposto un costo della CO2 fino a sei volte più elevato rispetto alle altre aree del mondo dove esiste un sistema di pricing, che coprono appena il 25% del pianeta.
«L’industria europea è responsabile dell’1,5% delle emissioni globali», ha continuato. «Se anche le eliminassimo tutte domani, l’effetto sarebbe impercettibile sul piano climatico, ma l’impatto sarebbe devastante per la nostra tenuta economico-sociale». La richiesta è quindi di sospendere il sistema ETS fino ad almeno il 2030, rivedendone profondamente il funzionamento.
Anche Michele De Pascale, presidente della regione Emilia-Romagna, ha partecipato alla missione. «In Emilia-Romagna possiamo contare su aziende tra le più evolute al mondo. Penalizzarle attraverso un sistema normativo sproporzionato significa favorire produttori extra-Ue come Cina, India o Turchia, Paesi in cui i vincoli ambientali e sociali sono di gran lunga inferiori».



















