La Corte d’Appello di Lecce ha confermato la condanna civile per Fabio Arturo Riva, erede della proprietà dell’ex Ilva, e per l’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso. La decisione ha stabilito un risarcimento complessivo che supera i 21 milioni di euro a favore del Comune di Taranto e delle sue società partecipate.
Questa sentenza rappresenta una svolta storica, poiché ha riconosciuto ufficialmente che i decenni di emissioni illegali, fumi e polveri non hanno causato solo un danno materiale. L’impatto si è esteso alla salute pubblica, al paesaggio, all’immagine e persino all’identità culturale della comunità tarantina, che da anni attendeva tale riconoscimento.
Nelle motivazioni del provvedimento, i giudici hanno parlato di condotte “reiterate e perduranti da almeno un ventennio”, dettate da una “logica del profitto” che ha sistematicamente ignorato la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Questa valutazione ha giustificato un aumento dell’importo risarcitorio rispetto alla sentenza di primo grado.
Gli importi sono stati così suddivisi: 13 milioni e 450 mila euro destinati direttamente al Comune di Taranto e circa 7 milioni e 800 mila euro per le sue aziende partecipate. La decisione tiene conto dei risarcimenti già parzialmente versati tramite transazioni precedenti con Ilva spa e Partecipazioni Industriali spa, riconosciute come condebitrici.
Il verdetto ha considerato l’impatto concreto sulla gestione quotidiana della città. Kyma Mobilità (ex AMAT) riceverà 5,3 milioni per i danni subiti dai mezzi di trasporto pubblico, mentre Kyma Servizi (ex Infrataras) otterrà quasi 1,8 milioni per i costi straordinari di pulizia stradale. A Kyma Ambiente (ex Amiu) sono stati assegnati circa 700 mila euro per il deterioramento degli immobili.
La sentenza ha messo in luce un aspetto drammatico: i danni sanitari non si sono ancora manifestati del tutto. Le patologie legate all’esposizione prolungata a sostanze nocive presentano lunghi periodi di latenza e colpiranno con maggiore severità le fasce più fragili della popolazione, come i bambini e i lavoratori dell’indotto. Lo stesso vale per le future bonifiche del territorio, che saranno complesse e costose.
Il verdetto della Corte di Lecce assume un valore che supera i confini pugliesi, configurandosi come una delle decisioni più significative nella storia della giustizia ambientale italiana. Per la prima volta, si è attribuito un valore economico alla distruzione della reputazione di un territorio e alla lesione del diritto di una comunità a essere percepita come un luogo salubre e vivibile.
Questo approccio, che quantifica il danno all’identità collettiva, è un atto giuridico di grande portata. Se la sentenza verrà confermata in via definitiva, potrà costituire un precedente fondamentale per altre aree d’Italia segnate dall’inquinamento industriale, come la Terra dei Fuochi, Porto Marghera o Priolo.






















