Roma: contro la violenza serve educazione affettiva

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Educazione affettiva
Educazione affettiva

Una ragazza di 23 anni ha denunciato di essere stata violentata da un uomo, con la complicità di altri due, all’uscita della metro Jonio di Roma. La giovane è riuscita a raggiungere da sola il pronto soccorso, dove sono stati allertati i carabinieri. Le indagini sono in corso, con l’analisi dei filmati delle telecamere di sorveglianza per ricostruire l’accaduto.

L’evento ha subito riacceso il dibattito politico, concentrandosi quasi esclusivamente sulla richiesta di maggiore sicurezza urbana, controlli e pene più severe. Questo approccio, seppur comprensibile, affronta solo la parte finale del problema, trascurando le cause strutturali che generano la violenza maschile contro le donne.

Il punto cruciale, infatti, non risiede solo nell’insicurezza di un luogo, ma in una cultura che normalizza la disuguaglianza. La violenza non nasce in una scala buia, ma in un sistema che non educa al rispetto e al consenso. Per questo, la vera prevenzione non può limitarsi alla sorveglianza.

Studi recenti, come quello della Fondazione Una Nessuna Centomila, hanno confermato che l’educazione sessuo-affettiva è lo strumento più potente per un cambiamento a lungo termine. Introdurla nelle scuole significa fornire ai giovani un vocabolario per nominare le emozioni, comprendere i confini e costruire relazioni sane, non basate sul possesso.

Questo percorso educativo è fondamentale per decostruire gli stereotipi di genere e smontare l’idea di una mascolinità predatoria. Eppure, in Italia, dal 1975 sono state presentate 34 proposte di legge per introdurre questa materia, senza che nessuna venisse mai approvata. Questo stallo legislativo dimostra la resistenza a scardinare le radici del patriarcato.

L’attivista Flavia Restivo ha evidenziato come l’assenza di un’educazione al desiderio e alle relazioni lasci un vuoto che la violenza riempie facilmente. La sicurezza degli spazi pubblici è necessaria, ma non sufficiente. Senza un investimento massiccio sulla cultura del consenso e sull’alfabetizzazione emotiva, continueremo a reagire agli episodi di violenza invece di prevenirli.

Il caso della metro Jonio, quindi, non deve essere archiviato come un tragico incidente isolato. È un sintomo che ci impone una riflessione: non saranno le telecamere a salvarci, ma quel cambiamento culturale che abbiamo sempre rimandato. La prevenzione è più efficace della sola repressione.

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