Norvegia: stop all’estrazione mineraria nell’Artico

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Fondali marini
Fondali marini

Il governo norvegese ha annunciato una decisione storica, definita “la più grande vittoria ambientale degli ultimi decenni”: le licenze per le estrazioni minerarie nelle acque profonde dell’Artico sono state bloccate almeno fino alla fine del 2029.

Questa mossa rappresenta un’inversione di rotta rispetto ai piani del nuovo esecutivo, che inizialmente sembrava intenzionato a riaprire le porte a un’attività industriale altamente distruttiva. Il progetto avrebbe interessato un’area grande quasi quanto l’Italia, situata tra le isole Svalbard e Jan Mayen.

La zona, a est della Groenlandia, è considerata uno degli ultimi santuari incontaminati per la vita marina artica. La decisione di fermare i piani è il risultato di intense trattative portate avanti dall’opposizione, sostenuta da movimenti ambientalisti come Greenpeace e dalla comunità scientifica internazionale.

La tendenza contro questo tipo di sfruttamento sta crescendo a livello globale. A novembre, anche il governo delle Isole Cook, nel Pacifico, ha comunicato che qualsiasi progetto di estrazione mineraria in acque profonde verrà rinviato almeno fino al 2032, dimostrando la crescente forza delle proteste.

Ma cosa sono le estrazioni minerarie in acque profonde? Si tratta di setacciare i fondali oceanici, spesso incontaminati, con macchinari giganteschi per estrarre metalli come cobalto, manganese e nichel. Questi materiali sono destinati alla produzione di batterie per auto elettriche, smartphone, computer e persino armamenti.

Gli scienziati hanno lanciato l’allarme sui rischi immensi di tali operazioni. Gli impatti sono difficili da prevedere, ma è certo che le attività genererebbero enormi nubi di sedimenti. Mentre i minerali vengono pompati verso le navi di superficie, acque reflue e detriti verrebbero scaricati nell’oceano, con conseguenze potenzialmente devastanti.

Queste nubi di detriti potrebbero compromettere i sistemi di orientamento di specie marine come balene, tonni e squali, sconvolgendo interi ecosistemi. Uno studio pubblicato su ‘Nature Ecology and Evolution’ ha fornito prove concrete: in un’area test tra Messico e Hawaii, le attività di estrazione hanno causato una diminuzione del 37% degli animali e del 32% della diversità delle specie in soli cinque anni.

Inoltre, le estrazioni potrebbero interferire con la capacità naturale degli oceani di sequestrare e immagazzinare carbonio, un processo fondamentale per mitigare la crisi climatica. Danneggiare questo meccanismo significherebbe aggravare ulteriormente il riscaldamento globale.

La vittoria ottenuta da pescatori, attivisti e scienziati è straordinaria, ma la protezione garantita dalla Norvegia è temporanea. Per mettere davvero al sicuro gli oceani, è necessaria una moratoria internazionale che fermi in modo definitivo lo sfruttamento dei fondali marini.

Oltre 40 Paesi hanno già appoggiato questa moratoria, ma l’Italia non è ancora tra questi. L’appello è rivolto al governo italiano affinché si schieri contro le estrazioni in acque profonde e aderisca al più presto all’iniziativa globale. La protezione del nostro pianeta blu non può essere sacrificata in nome del profitto.

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