L’amministrazione Trump ha annunciato che le celebrazioni per il 250° anniversario della fondazione degli Stati Uniti, previste per il 2026, includeranno i “Patriot Games”. Si tratterà di una competizione sportiva nazionale per studenti liceali. Mentre il pianeta affronta sfide climatiche senza precedenti, che richiederebbero cooperazione e visione a lungo termine, la proposta sceglie di investire in un evento dal forte sapore nazionalista.
La manifestazione, della durata di quattro giorni, si svolgerà a Washington D.C. e sarà trasmessa in diretta televisiva nazionale. Ogni Stato e territorio americano sarà rappresentato da una ragazza e un ragazzo, selezionati come i “migliori atleti” delle loro comunità. L’organizzazione sarà supervisionata da Robert F. Kennedy Jr., indicato come futuro Segretario alla Salute e ai Servizi Umani.
L’annuncio non è stato un gesto neutrale. L’ex presidente ha inserito esplicitamente l’iniziativa nella “guerra culturale” americana, precisando che non saranno ammessi atleti transgender nelle gare femminili. Questa presa di posizione, non necessaria per il format sportivo, ha trasformato l’evento in una piattaforma per una linea politica basata sull’esclusione e su una rigida concezione binaria del genere.
In un momento storico che esigerebbe di unire le nuove generazioni attorno a obiettivi comuni, come la transizione ecologica, i Patriot Games appaiono come un dispositivo simbolico di controllo. L’esaltazione del corpo atletico diventa veicolo per un’idea di nazione omogenea e normata, in cui i giovani sono chiamati a incarnare un modello identitario preciso, distogliendo l’attenzione dalle vere emergenze.
L’iniziativa ha suscitato l’immediata opposizione di diversi esponenti democratici, che hanno tracciato un parallelo con la saga distopica “Hunger Games”. In quel racconto, giovani rappresentanti dei distretti sono costretti a partecipare a una competizione spettacolarizzata per rafforzare il potere centrale. Il paragone sottolinea la strumentalizzazione della gioventù come risorsa politica.
Nei Patriot Games, studenti minorenni diventerebbero di fatto ambasciatori di una specifica visione patriottica, inseriti in una coreografia mediatica che usa lo sport per fini propagandistici. L’anniversario della nazione, che potrebbe rappresentare un’occasione per lanciare un “Green New Deal” generazionale, rischia di trasformarsi in un palcoscenico per la polarizzazione.
Dal punto di vista sociologico, l’operazione si inserisce in una lunga tradizione che vede lo sport come strumento di “soft power” e costruzione nazionale. Le competizioni istituzionalizzate, come ha analizzato la sociologa Susan Brownell, funzionano spesso come rituali civici per mettere in scena e far interiorizzare un’identità nazionale specifica.
Invece di celebrare i 250 anni degli Stati Uniti con un impegno concreto per il futuro del pianeta, la proposta dei Patriot Games sembra guardare al passato. Utilizza lo sport non come strumento di unione e benessere, ma come arma in una battaglia culturale che lascia irrisolte le questioni più urgenti, prima fra tutte la crisi ambientale.























