Messina, colpo al cuore del clan Spartà: 8 arresti, in carcere anche il reggente

Decisive le rivelazioni del pentito Daniele Santovito, l'organizzazione particolarmente attiva in usura ed estorsioni

Estorsioni, colpiti gli Spartà
Foto LaPresse

MESSINA – Otto arresti, in carcere il reggente del clan Spartà. E’ l’esito dell’operazione portata a termine all’alba di questa mattina dai carabinieri del Comando provinciale di Messina col supporto dei colleghi di Catania. Eseguita un’ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della Dda a carico di 8 persone. Per tutti, le accuse a vario titolo sono di associazione mafiosa, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni e violazioni degli obblighi della sorveglianza speciale, tutti aggravati dal metodo mafioso.

Colpo al cuore del clan Spartà grazie al collaboratore di giustizia

L’indagine è partita 4 anni fa dopo le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Daniele Santovito. Fu proprio quest’ultimo a far luce sulle mosse del clan guidato da Giacomo Spartà, attivo soprattutto nel racket dell’usura e delle estorsioni. Secondo la ricostruzione degli investigatori, durante la detenzione del boss le operazioni sarebbero state condotte da Raimondo Messina. Il 47enne, reggente del clan, è finito in manette questa mattina. Gli altri arrestati sono Antonio Cambria Scimone, 50 anni, ritenuto un altro personaggio di spicco; Angelo Bonasera, 54 anni; Antonio Calio, 35 anni; Giuseppe Cambria, 46 anni; Tommaso Ferro, 41 anni; Lorenzo Guarneri, 57 anni; Alfio Russo, 48 anni.

Concorrenza eliminata ed estorsioni sugli indebitati nelle sale gioco

Le carte processuali disegnano la mappa delle attività del clan, ramificata principalmente nei settori delle estorsioni e dell’usura. In particolare, la famiglia condizionava l’attività di alcuni imprenditori locali imponendo l’assunzione di determinate persone e finanche delineando, per loro, la strategia da adottare. Gli Spartà, secondo gli inquirenti, si sarebbero anche preoccupati di eliminare la concorrenza scomoda. A una pasticceria fu imposto di interrompere la vendita di bibite e caffè, a pochi metri c’era un bar che rientrava nell’interesse del clan. Inoltre, l’organizzazione avrebbe il controllo di molte sale gioco della città. E molti giocatori sarebbero finiti nella rete fatta di minacce, violenza ed estorsione.

I debiti andavano pagati subito e con tassi d’interesse altissimi. Una donna, a fronte di 6mila euro, ne dovette sborsare 20mila. Nell’inchiesta è emerso anche un episodio di usura ai danni di un gioielliere messinese. Per estinguere un debito di 4mila euro con i fornitori, avrebbe chiesto un prestito al clan dovendone poi restituire 8.500 in pochi mesi.

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