CASAL DI PRINCIPE – Dai Nuvoletta al clan dei Casalesi. Se Benito Natale si è fatto strada nella camorra casertana è grazie al ‘gioco’. Fu la famiglia di Pignataro, per prima, nel 2003, a puntare sul grazzanisano. Poi toccò agli Zagaria: la cosca di Capastorta tramite Nicola Del Villano, fece scouting coinvolgendolo nella gestione delle macchinette. Le inchieste giudiziarie avevano bruciato la famiglia Grasso di Soccavo. C’era un territorio da ripopolare di slot e per farlo sarebbe stato scelto proprio Natale. Il 45enne dal 2016 collabora con la giustizia.
Dal ‘gioco’ ai rifiuti
Non solo ‘slot e scommesse’. Alla Dda ha raccontato di aver fatto affari pure con i rifiuti. Ieri pomeriggio, dinanzi al tribunale di Santa Maria, è stato interrogato nel processo a carico di Sergio e Adolfo Orsi, padre e figlio di Casal di Principe, difesi dall’avvocato Carlo De Stavola e Rocco Trombetti. Con i due sono a giudizio pure Enzo Papa, 59enne di Grazzanise, ex poliziotto, rappresentato dal legale Francesco Parente, e Antonio Mone, 51enne di Alife.
Le imputazioni
I quattro sono accusati di intestazione fittizia di beni aggravata dalla finalità mafiosa. Il pentito, rispondendo ai quesiti del pm Alessandro D’Alessio, ha illustrato al collegio (presieduto dal giudice Giovanni Caparco) la sua storia criminale. Alcune delle informazioni riferite ieri in aula le ha apprese direttamente da Maurizio Fusco. Come quelle sul servizio di igiene ambientale svolto negli anni scorsi dalla Dhi a Santa Maria Capua Vetere. L’azienda, stando a quanto sostenuto dal pentito, aveva avuto problemi con i Belforte. “Antonio Scialdone – ha dichiarato Natale – era il consulente della società, e con Alberto Di Nardi, titolare della ditta, si recò da Fusco”, per la Dda ras del clan nella zona di Vitulazio.
Tra Belforte e Casalesi
I due (non indagati e innocenti fino a prova contraria) gli avrebbero chiesto aiuto per risolvergli la grana con i marcianisani. “Chiesero l’intervento degli Schiavone”. E messaggero della loro istanza, per il collaboratore, fu proprio Fusco. La cosca di Sandokan allertata dal vitulatino risolse il problema: “Si decise che non avrebbero più pagato ai marcianisani, ma soltanto ai Casalesi. A Bruno Buttone precedentemente versavano 3mila e 500 euro al mese. Agli Schiavone, invece, 3mila”. Benito Natale ha sostenuto che tale circostanza gli fu confermato in carcere da Carmine Iaiunese e Gennaro Vanacore.
“So che Scialdone e Di Nardi domandarono a Fusco se si poteva pagare (il pizzo agli Schiavone, ndr.) tre volte all’anno e non più una volta al mese. Carmine Schiavone disse di sì, ma si sarebbe dovuto prendere Fusco la responsabilità di eventuali mancanze”. E i problemi, ha spiegato Natale, arrivarono. La società cominciò a non pagare la tangente. “Era il 2012. Ero appena tornato dalle vacanze a Baia Domizia. Mi trovai Fusco fuori al bar. Mi raccontò che Carmine Schiavone aveva addebitato a lui l’ammanco (la tangente non incassata, ndr.) Per risolvere il problema gli dissi di andare a Capua, dove i Di Nardi avevano il deposito di gomme. Alessandro (padre di Alberto, non indagato e innocente fino a prova contraria, ndr.) chiarì di non saperne nulla, così proposi di fare un incontro con Scialdone e Alberto per risolvere la questione”.
L’inchiesta sulla Sia Srl
Al centro dell’inchiesta che ha trascinato gli Orsi, Papa e Mone in tribunale c’è la società Sia Srl. Sergio Orsi, reale titolare della Flora Ambiente, avrebbe ceduto un ramo d’azienda proprio alla Sia srl, “anch’essa – ritiene la Procura – a lui sostanzialmente riconducibile”. L’obiettivo, per gli investigatori, era evitare “interventi di ablazione patrimoniale che potevano derivare dal coinvolgimento dell’Orsi” nell’indagine ‘Eco 4’. Papa e Mone sarebbero coinvolti nella vicenda rispettivamente nei ruoli di amministratore e socio della Sia. Adolfo Orsi, invece, in veste di ‘liquidatore’ e rappresentante della Flora Ambiente. Con i 4 sono a giudizio pure Francesco Salzano, 44enne di Santa Maria la Fossa, e Ugo Di Puorto, 72enne di San Cipriano, rappresentati dagli avvocati Paolo Raimondo, Giuseppe Stellato e Gennaro Ciero: i due, per la Dda, sono responsabili di estorsione aggravata dall’articolo 7. Lo stesso reato è stato contestato agli Orsi. Stando a quanto sostenuto dalla Dda avrebbero costretto due imprenditori a rinunciare ad una somma precedentemente pattuita “quale corrispettivo per il deposito” su alcuni terreni dei veicoli della Flora Ambiente.
Nell’indagine che ha portato i 6 in tribunale era coinvolto anche Natale, difeso dall’avvocato Giuseppe Tessitore. Il collaboratore è già stato condannato in primo grado: a differenze degli altri imputati ha deciso di essere giudicato con rito abbreviato.
La costante: Nicola Schiavone
Lungo e complesso l’esame reso in aula ieri dal pentito mazzonaro. Il teste, interrogato dal pm, ha affrontato il suo presunto ruolo avuto nella Sia, gli incontri con Nicola Schiavone, i propri rapporti con l’amministrazione comunale di Grazzanise e le relazioni con gli Orsi e Papa. Temi eterogenei che cercheremo di approfondire nei prossimi giorni. Nella testimonianza di Natale c’è una costante: Nicola Schiavone. La Dda più volte ha chiesto al collaboratore di essere preciso sul numero dei suoi contatti e degli argomenti affrontati con il primogenito del capoclan. Il figlio di Sandokan, da fine luglio, è ufficialmente un pentito. Le sue dichiarazioni per il processo a carico degli Orsi saranno fondamentali: potranno rafforzare la tesi della Dda, confermando quanto detto dal grazzanisano, oppure, se dovesse smentirle, farla franare del tutto.