Schiavone: i vertici Cpl chiesero aiuto al clan

Il collegamento tra la coop e la cosca sarebbe stato assicurato da alcuni imprenditori vicini ai Casalesi attivi nel modenese

CASAL DI PRINCIPENicola Schiavone ha ributtato la palla in campo. Per il tribunale di Napoli Nord gli ex vertici della Cpl con la camorra, nell’affare metano, non avevano avuto nulla a che fare. Il primogenito di Sandokan, invece, alla Dda ha raccontato una storia diversa. Sarebbero stati proprio i rappresentanti della cooperativa emiliana ad avvicinarsi alla cosca. “Non conosco i loro nomi – ha spiegato il pentito – ma Antonio Iovine mi disse che avevano sondato il terreno. Poiché la Cpl sarebbe rimasta per un po’ di tempo nelle nostre zone per gestire la metanizzazione, chiese al clan di poter stare tranquilla. Ed in cambio offrì la disponibilità ad assumere persone e ad accettare l’indicazione (dalla camorra, ndr.) di lavoratori e imprese da incaricare”.

Gli ordini di Sandokan

Ne sarebbe venuto fuori un sistema capace di filare liscio per anni, senza intoppi. “Il meccanismo di assegnazione dei lavori – ha chiarito il pentito – era talmente oleato e consolidato che non c’era più bisogno da parte nostra (del clan, ndr.) di interloquire con Cpl nemmeno per il tramite di Iovine”. Ogni boss, così come deciso nel ‘97 da Francesco Sandokan Schiavone, indicava alla coop le ditte da far lavorare sui propri territori di competenza: Domenico Bidognetti per Villa Literno, Giuseppe Caterino (poi Iovine) per San Cipriano, il gruppo Schiavone per Casale e Zagaria per Capesenna.

Il gancio con il clan

La società modenese, ha aggiunto il collaboratore, sarebbe riuscita a trovare un gancio con la camorra locale grazie alla presenza “di molti imprenditori in Emilia Romagna” vicini alla mafia casertana. Nicola Schiavone ha già indicato alcuni nomi e cognomi di persone legate a Michele Zagaria che operavano proprio a Modena. Ma le identità di quei colletti bianchi sono state ‘coperte’: indagini in corso.

Gli imputati 

Le dichiarazioni rese all’Antimafia dal primogenito di Sandokan sono state depositate nel processo d’Appello a carico di Roberto Casari, 64enne di Modena (ex presidente della coop emiliana), Giuseppe Cinquanta, 54enne di Roma (responsabile commerciale della Cpl per Sardegna, Lazio e Campania fino al 2005), e Giulio Lancia, 54enne di Sant’Angelo in Rovereto (responsabile di cantiere della Cpl – Bacino Campania 30 – dal 2000 al 2003).

I tre ex manager della coop, difesi dai legali Arturo ed Enrico Frojo, Luigi Sena, Luigi Chiappero e Bruno La Rosa, erano accusati dalla Dda di concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti avevano invocato per loro 8 anni di reclusione a testa. Ma il collegio presieduto dal giudice Francesco Chiaromonte li ha assolti.

A dicembre la Corte partenopea valuterà se acquisire o meno le nuove dichiarazioni del boss. Quelle parole rimettono in discussione il verdetto di primo grado.

A giudizio in Appello ci sono pure Antonio Piccolo, 52enne di Casapesenna, condannato per associazione mafiosa, e Claudio Schiavone, 53enne di Casal di Principe, ritenuto colpevole di concorso esterno al clan. I due, assistiti dai legali Giuseppe Stellato, Carlo Taormina e Paolo Trofino, nell’ottobre del 2017 hanno incassato rispettivamente dieci e sei anni di reclusione.

 

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