In questi tempi difficili che stiamo vivendo, di alcune inutili polemiche tutti vorremmo farne a meno. Soprattutto quando queste polemiche riguardano quelli che in prima linea stanno fronteggiando la nostra battaglia. Ai più fortunati di noi, infatti, è stato chiesto di stare a casa e lavarsi le mani; quelli un po’ meno fortunati devono sopravvivere alla chiusura o la sospensione delle attività lavorative; quelli un po’ meno fortunati ma in modo diverso devono lavorare in condizioni a rischio gettando il cuore oltre l’ostacolo. Poi ci sono i soldati-eroi di questa guerra: medici, infermieri, barellieri e tutti quelli che a vario titolo lavorano negli ospedali. Capita quindi che quelli un po’ meno fortunati tipo i giornalisti siano chiamati a dare una prova di professionalità importante, in un periodo in cui tra allarmi e false notizie la deontologia dovrebbe essere imperante, faro guida in un momento in cui l’informazione assolve a un ruolo di tenuta sociale indispensabile.
Va detto che in tanti, tra giornali e tv, hanno dato prova di comprovata professionalità e correttezza, rigore e sensibilità. Ma qualcun altro, invece, ci è cascato ancora, anche oggi.
Lo scrivevo su Cronache del 22 febbraio: qualcuno gioca con le notizie. Qualcuno, soprattutto, ha deciso che può fare il giornalista senza alzare il telefono, senza fare domande: basta avere i giusti amici su Facebook e leggere i loro post. In quel caso, l’argomento era la dignità di una senza fissa dimora la cui foto senza pantaloni, ed è grave; ma i connotati di quello che è accaduto coi medici del Cardarelli al confronto la derubricano a sciocchezzuola.
Perché mentre gli infermieri collassano davanti ai pc, le ricercatrici isolano il ceppo del Covid-19 e i medici si ammalano, alcuni giornali hanno sparato in bella vista un numero: 249. Quanti i medici dell’ospedale Cardarelli che si sarebbero messi in malattia in piena emergenza. Un numero che da solo parla, tanto da aver fatto sobbalzare dalla sedia finanche il sindaco di Napoli che ha invocato il licenziamento per “i traditori che abbandonano in questo momento”.
Il Cardarelli, con una nota stampa che sebbene di fredde parole comunque lascia trapelare incredulità, dopo l’esplosione del caso ci tiene a sottolineare che, in quel momento, i medici in malattia non sono 249 ma 33. Si, trentatré. Il “parco” medici dell’ospedale è composto da 739 medici, di cui 276 impegnati nel DEA, il dipartimento “di trincea” per la battaglia al coronavirus. Se si stringe il numero solo a questo dipartimento, i malati sono 17. Non solo ma, tra i 33 assenti per malattia, 4 unità hanno patologie pregresse note e altre 4 sono risultate positive al tampone del Covid-19.
Certo, qualcuno dovrebbe chiedere scusa. Ma da dove esce fuori questo famoso 249? Da uno sfogo di Ciro Mauro, dottore, primario del Dipartimento delle Emergenze. E dov’è questo sfogo? Su Facebook, chiaramente, in un post che di notabile ha la sola posizione lavorativa dell’uomo.
Non entriamo nel merito della ridicola querelle per attribuirsi il merito dello scoop. Torniamo ai fatti. I fatti dicono che a quel 249 corrisponda una controparte che recita 33 e che è su un documento ufficiale di cui qualcuno, che ci mette la firma, si prende la responsabilità. Non in un post poi cancellato, scritto in chissà che momento di sconforto, quando si sottolinea che non sta allo scrivente l’onere del controllo.
Il Cardarelli ha avviato un’indagine interna, il denunciante convocato in Procura. Poca vergogna, invece, tra chi ha diffuso la notizia e chi bellamente l’ha copiat… riportata, pardon, facendola schizzare sui motori di ricerca sotto il nome di ogni testata. Un plauso particolare a chi non ha manco rettificato. Un’ovazione per chi invece ancora all’indomani nega l’errore commesso.