Appalti e mafia, chieste nove condanne

Magliulo e Apicella accusati di associazione mafiosa, Gagliardo di concorso esterno al clan

Casalesi, Apicella gestore dei rapporti tra clan e imprenditori
Casalesi, Apicella gestore dei rapporti tra clan e imprenditori

CASAL DI PRINCIPE (Alessandro Gala) – Imprenditori legati al clan dei Casalesi e appalti, gestiti da Rete ferroviaria italiana, che sarebbero finiti a ditte indicate da colletti bianchi della mafia: sono i principali temi dell’inchiesta, coordinata dal pm Graziella Arlomede, che ha portato a processo 59 imputati. Per 9 di loro che hanno scelto di affrontare il processo con rito abbreviato, ieri si è tenuta già la requisitoria. Sono stati invocati 10 anni di carcere per Augusto Gagliardo, 49enne di San Cipriano d’Aversa, e Antonio Magliulo 45enne di Casal di Principe. Otto anni per Dante Apicella, 57enne di Casal di Principe, 6 anni per Luigi Russo, 48enne di Casale, e Giulio Del Vasto, 48enne di Napoli, 4 anni e 3 mesi per Antonio e Pasquale D’Abrosca, 67 e 38 anni di Grazzanise. Tre anni a testa chiesti per Pietro Andreozzi, 63enne di Salerno e Guido Giardino, 71enne di Napoli. Apicella e Magliulo rispondono di associazione mafiosa, Gagliardo di concorso esterno al clan, Andreozzi, Del Vasto e Russo sono accusati a vario titolo di corruzione e trasferimento fraudolento di beni. I D’Abrosca a vario titolo di trasferimento fraudolento di beni e riciclaggio. Gli imputati sono da considerare innocenti fino ad un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Due i filoni che danno forma al procedimento: c’è quello su Rfi, portato avanti dai militari dell’Arma del Nucleo investigativo di Caserta, e quello sul mondo imprenditoriale di Apicella, seguito dalla Dia. Uno riguarda le figure di Nicola e Vincenzo Schiavone. Per gli inquirenti, Nicola Schiavone – padrino di battesimo dell’omonimo figlio di Sandokan – sarebbe cresciuto da un punto di vista imprenditoriale grazie ad un patto stretto con il capoclan dei Casalesi. E gli affari sarebbero cresciuti al punto che gli Schiavone sarebbero stati di casa nel palazzo di Rfi a Roma dove avrebbero ottenuto commesse in cambio di mazzette e regali. I soldi, secondo gli inquirenti, sarebbero stati ripuliti attraverso Dante Apicella, con cui le attività degli Schiavone si sarebbero incrociate. Gli ulteriori accertamenti avrebbero fatto emergere le attività di Apicella, svolte anche attraverso una rete di prestanome, che avrebbe sia continuato ad operare nel settore degli investimenti e degli appalti sia a fungere da collettore – è questa la tesi della Dda – delle somme di denaro pagate dagli imprenditori avvantaggiati negli appalti grazie al clan. Nel collegio difensivo gli avvocati Mirella Baldascino, Gianluca Giordano, Generoso Grasso e Clarlo De Stavola. La prossima udienza è in programma per il 7 marzo.

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