NAPOLI (Sergio Olmo) – Se dovessero modificare il disciplinare della mozzarella di bufala campana Dop sarebbe un disastro. Lo sarebbe soprattutto per gli allevatori bufalini del Casertano, tra i maggiori produttori del’intera area Dop (con circa il 60% della produzione totale) che comprende, oltre ad alcune aree campane, anche una piccola parte del Lazio, della Puglia e del Molise. Il condizionale è d’obbligo ma lo scenario è tutt’altro che remoto e l’allarme, tra le aziende zootecniche di Terra di Lavoro, è gi scattato. Nessuno, dopo le tremende mazzate ricevute con la gestione regionale dei piani per l’eradicazione della brucellosi e della tubercolosi bufalina e dopo le forti pressioni per diminuire il prezzo del latte di bufala, ha voglia di esporsi, di metterci la faccia. Tuttavia, come si dice in questi casi, il paese è piccolo e la gente mormora. Così, all’indomani dell’annuncio dell’Istituzione di un Tavolo Tecnico sulla tracciabilità del prodotto, e nel giorno in cui Copagri Campania lancia un appello affinché i caseifici desistano dal pretendere ulteriori riduzioni del prezzo del latte dagli allevatori (già provati dalle politiche degli abbattimenti imposte dal governatore De Luca e dal Direttore dell’Istituto Zooprofilattico Meridionale Antonio Limone, nonché dalle nuove regole regionali sempre più stringenti e onerose), il tema torna prepotentemente alla ribalta- La verità, suggeriscono in diverse aziende zootecniche, e che dopo aver vessato gli allevatori con la caccia alla brucella e l’imposizione di norme e misure strutturali costosissime, ci sarebbe, sullo sfondo, proprio l’obiettivo di modificare il disciplinare dell’oro bianco. I più pessimisti non mancano di individuare in questa politica la volontà di indebolire il Casertano, selettivamente, finendo così per favorire alcune aziende, altri territori. Notizie false e tendenziose? Può darsi. Ma lo scenario raccolto da Cronache in giro per gli allevamenti sembra verosimile e in non pochi casi confermato da alcune dichiarazioni istituzionali rilasciate dai protagonisti delle politiche di settore, in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi.
IL TAVOLO SULLA TRACCIABILITA’
Intanto, ci dicono, l’annuncio del Tavolo sulla tracciabilità, dato peraltro all’indomani di un’interrogazione della consigliera Muscarà che denunciava la mancata applicazione delle leggi nazionali e regionali in materia, costituirebbe solo e soltanto una mossa propagandistica , utile forse solo a garantirsi un po’ di consenso alle prossime elezioni regionali. Se davvero avessero avuto a cuore la tracciabilità anti-frode, ci dicono, piuttosto che farci indebitare per centinaia di migliaia di euro con le banche per mettere su reti, mura, canali e quant’altro che poi si è rivelato quasi o per nulla efficace, avrebbero imposto l’utilizzo dei conta-litri a distanza, sigillati (un po’ come fanno i fornitori di energia), negli allevamenti. Il ragionamento è: se non siamo sicuri della reale quantità di latta prodotta dalla singola stalla a che possono mai servire tutte le altre misure successive, quelle sul trasporto, e l’utilizzo nei caseifici? La verità – insistono – è che nessuno ha sostenuto questa soluzione, neppure il Consorzio di tutela che pure, oltre alla promozione del prodotto dovrebbe farsi carico dei controlli.
L’ASSALTO AL DISCIPLINARE
Quello della tracciabilità si legherebbe comunque all’obiettivo della modifica del disciplinare per la produzione della mozzarella di bufala Dop laddove l’intenzione sarebbe (il condizionale è d’obbligo) quello di inserire la possibilità di poter ricorrere all’uso del latte di bufala congelato (con quel che ne conseguirebbe in termini di bontà del prodotto e di possibilità di frodi), ma anche la possibilità per i caseifici di poter ricorrere ai fusori. La mozzarella, oggi ottenuta dalla pasta filante del latte di bufala cagliato ad una temperatura di circa 80 gradi, potrebbe essere prodotta per fusione in appositi macchinari industriali a vapore. E nel fusore, che fonde e non fila, – affermano i più pessimisti – ci puoi infilare di tutto e di più (dai grassi alle proteine, al latte di vaccina, ottenendo una resa maggiore (anche sei sette chili di prodotto in più per quintale di latte), con buona pace dei consumatori. Ma le modifiche al disciplinare investirebbero anche la cosiddetta pezzatura, cioè la forma (artigianale) e il peso dei singoli pezzi, tondi o a treccia che siano. Per agevolare l’utilizzo della mozzarella di bufala Dop nelle pizzerie – dicunt – potrebbero essere inserite nuove pezzature, anche di forma cubica, marcandole Dop, o ammettere alla corte del Dop anche pezi fuori-misura (si pensi, ad esempio, alla Zizzona di Battipaglia).
Il tutto – ci riferiscono – con l’obiettivo di modernizzare il settore ed ampliare le potenzialità della mozzarella di bufala campana Dop. Ed è in quest’ottica, che troverebbe pieno accordo a Palazzo Santa Lucia e in non pochi ambienti vicini, si penserebbe anche a sdoganare, sempre come mozzarella di bufala campana Dop, il cosiddetto Frozen, mozzarelle cioè congelate immediatamente dopo la produzione per poterle conservare più a lungo e poterle esportare più agevolmente ed economicamente nel mondo. IL tutto, con buona pace per la sua consistenza e le sue proprietà organolettiche resterebbero “quasi” inalterate allo scongelamento, incrociando le dita sul maggior rischio contaminazione e ricongelamento. Senza contare il deterioramento del prodotto in caso di lunghi periodi di congelamento. Se 32 anni fa il legislatore europeo istituì il marchio Dop – ci fanno notare –, lo fece per valorizzare prodotti di assoluta eccellenza, di qualità eccezionale. Il Dop – aggiungono – non è un marchio commerciale nato per garantire profitti ai più scaltri.
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