Atti negati sulle consulenze del sindaco Manfredi, ora l’università dovrà dire da chi ha avuto gli incarichi

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NAPOLI – L’università Federico II dovrà indicare i nomi di chi ha affidato al docente di Ingegneria (poi eletto sindaco) Gaetano Manfredi (nella foto) le consulenze poi giudicate illegittime e i motivi della mancata azione disciplinare. Lo hanno deciso i giudici del Tar Campania, accogliendo, con la sentenza 3655 pubblicata in questi giorni, il ricorso presentato dai consiglieri municipali Giuseppe Renato De Stasio, Thomas Adolf Straus e Carmine Stabile, rappresentati dall’avvocato Pierluca Ferretti, contro l’Università e nei confronti di Manfredi, non costituito in giudizio. Per la vicenda delle consulenze il sindaco ha patteggiato con la Corte dei conti il pagamento di 210mila euro. I ricorrenti chiedevano, con il ricorso introduttivo, l’annullamento del provvedimento di aprile 2024 dell’Università di rigetto dell’istanza di accesso civico presentata dai ricorrenti e la dichiarazione del diritto ad avere pieno accesso alla documentazione.

Con motivi aggiunti, è stato chiesto l’annullamento della nota dell’Università che ha negato informazioni. In particolare, partendo dalla condanna per danno erariale (avendo svolto incarichi professionali in violazione delle norme sul cumulo di impieghi o in assenza di autorizzazione da parte dell’Ateneo di appartenenza) hanno chiesto atto di contestazione degli addebiti e provvedimenti adottati a conclusione del procedimento disciplinare (se esistenti). Nel caso in cui il procedimento disciplinare non fosse stato avviato e/o concluso, di avere conferma di questa circostanza e conoscerne le ragioni. La Federico II ha respinto l’istanza invocando “le esigenze di riservatezza di privati”. In seguito l’ateneo ha precisato che “non detiene, in quanto non esistente, l’atto di contestazione degli addebiti”. Quanto alla richiesta di conoscere i nomi di chi ha affidato consulenze a Manfredi, “si tratta non già di documenti o dati, bensì di informazioni, che questo Ateneo non può quindi rilasciare”.

Il ricorso introduttivo, hanno notato i giudici, cade perché è superato dalla successiva comunicazione dell’Università sull’inesistenza degli atti. E’ invece legittima la richiesta di ottenere, se esistente, l’accesso al documento contenente la motivazione della mancata attivazione del procedimento disciplinare. Il ricorso per motivi aggiunti è quindi fondato e l’Università dovrà fornire ai ricorrenti, entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza, le informazioni richieste. L’ateneo è inoltre condannato al pagamento delle spese di lite per 1.500 euro.

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