S. CIPRIANO D’AVERSA – Una foto che, secondo gli investigatori, lo ritrae in un’età incompatibile con la sua presunta morte datata 1988. Poi le conversazioni intercettate dei familiari, che alludono alla sua permanenza all’estero. E i vari avvistamenti (negli Usa e a Formia) riferiti agli investigatori laziali da alcuni testimoni. Sono gli elementi che hanno alimentato e continuano ad alimentare il mistero sulla scomparsa di Antonio Bardellino, mafioso di San Cipriano d’Aversa legato a Cosa nostra. Elementi messi nero su bianco in una recente indagine della Dda di Napoli, tesa a tracciare i legami tra alcuni suoi eredi ed esponenti della cosca Schiavone di Casal di Principe.
Andando oltre quell’indagine, negli ultimi mesi sono emersi altri documenti che rafforzano la possibilità di una storia diversa da quella tracciata nella sentenza Spartacus (che racconta dell’omicidio di Bardellino avvenuto a Buzios nel 1988, per mano di Mario Iovine su istigazione di Francesco ‘Sandokan’ Schiavone). A quali atti ci riferiamo? Uno dei più rilevanti è una nota recuperata dal giornalista Andrea Palladino tra le carte dell’intelligence brasiliana, declassificate qualche anno fa e depositate nell’archivio nazionale di Rio de Janeiro. Il
documento in questione, del febbraio 1993, reso noto da Palladino in un servizio andato in onda per la trasmissione 100 minuti su La7, è un’informativa commissionata alla polizia federale brasiliana proprio sulla figura di Bardellino. E in questa carta il sanciprianese viene definito – scopre Palladino – “uno dei principali uomini d’onore di Cosa nostra siciliana in Brasile”.
Il suo destino, si legge, “sarebbe al momento sconosciuto”. Gli investigatori brasiliani sostengono che nel 1988, cioè dopo la sua presunta morte, Bardellino possa essere fuggito di nuovo in Spagna. L’aspetto ulteriormente interessante che emerge dal documento è il collegamento del mafioso con la zona di Tabatinga, in Amazzonia, al confine con Colombia e Perù (uno dei nodi principali usati dal cartello di Medellín), dove avrebbe iniziato a trafficare droga verso l’Europa. A questo aspetto possiamo aggiungere ora un ulteriore elemento che merita approfondimento e chiarezza, ripreso sempre da Palladino e pubblicato, ieri, sulla rivista brasiliana Piauí. Quale? Quel rapporto su Bardellino è stato redatto pochi giorni dopo un incontro tra agenti brasiliani e funzionari del Sismi, l’agenzia italiana di sicurezza che si occupava dell’estero (oggi nota con la sigla Aise – Agenzia informazioni e sicurezza esterna).
Quell’incontro era finalizzato anche ad avere informazioni su Bardellino? E i servizi italiani sapevano che per i brasiliani il mafioso risultava vivo dopo il 1988? Quesiti a cui difficilmente si avrà mai una risposta. Un altro documento della Polizia Federale – ha rivelato Palladino – mostra che, almeno fino al 1996, Bardellino figurava ancora nell’elenco dei mafiosi latitanti in Brasile. Chi potrebbe aiutare a far luce sulla vicenda è sicura- mente Francesco Schiavone: il capoclan dei Casalesi, colui che avrebbe concordato con Iovine l’uccisione (presunta)
di Bardellino. Aveva iniziato a collaborare con la giustizia nel 2024, ma le sue rivelazioni sono state ritenute parziali, non del tutto genuine e a tratti non riscontrabili.
Considerazioni che hanno spinto la Procura di Napoli, ora guidata da Nicola Gratteri, a fermare questo percorso di collaborazione. Lo scorso maggio, però, Schiavone, nel corso di un’udienza, aveva chiesto di voler tornare a collaborare (volontà che difficilmente – a quanto ci risulta troverà sponda nella Direzione distrettuale antimafia partenopea). E durante il suo intervento dinanzi alla Corte d’appello di Napoli fece riferimento proprio a Bardellino e ai suoi legami con Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti, mafiosi di Cosa nostra.