Leggevo ieri su un quotidiano – a proposito del barbaro omicidio del giovane sottufficiale di Somma Vesuviana – questo passaggio: “Il carabiniere che ha messo la benda al giovane americano arrestato per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega sarà immediatamente spostato ad un reparto non operativo. Lo si apprende dai carabinieri”. Tutto è successo in poche ore. Il giovane americano arrestato e portato in caserma è stato immortalato in una foto in cui compare con una benda agli agli occhi. Una foto scattatagli di sorpresa durante l’interrogatorio e che ora sta facendo il giro del web. E non solo. Questa foto sta creando – ed a ragione, secondo me – tantissime polemiche e sta aprendo un infuocato dibattito. A mio parere si potrebbe trattare di un fotomontaggio. E perché no ? Questo e’ il mio pensiero in quanto mai posso credere che le nostre forze dell’ordine, così attente e scrupolose, possano aver fatto ricorso all’uso di siffatti mezzi. Malauguratamente mi dovessi sbagliare, ben venga una inchiesta disciplinare di un Ufficiale inquirente ed una istruttoria collegiale dell’Arma dei Carabinieri parallela a quella della Magistratura. Dal canto suo – leggevo – che il procuratore generale di Roma, il dottor Giovanni Salvi, ha detto che, in base alle informazioni fornite dalla Procura, “le modalità con le quali è stato condotto l’interrogatorio consentono di escludere ogni forma di costrizione in quella sede: gli indagati sono stati presentati all’interrogatorio liberi nella persona, senza bende o manette. All’interrogatorio è stato presente un difensore ed é stato condotto da due magistrati, è stato registrato e ne è stato redatto verbale integrale. Gli indagati sono stati avvertiti dei loro diritti”. Le verifiche dunque proseguiranno e dovranno proseguire “per accertare chi, per quali ragioni e per disposizione di quale autorità abbia bendato l’indagato ( il diciannovenne americano) e abbia ritenuto di tenerlo in manette e si accerteranno anche eventuali responsabilità per omessa vigilanza”, ha aggiunto il dottor Salvi. Dunque la confessione del delitto resta per ora un dato certo ed insuperabile. In questa sede a me non interessano i vari interventi politici sulla questione, mi interessa la relazione dettagliata della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma che è ancora in attesa di ricevere, a sua volta, una informativa circa la foto scattata in una caserma dei carabinieri in cui compare appunto il giovane Christian Gabriel Natale Hjort, uno dei due cittadini americani fermato per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, bendato, con le mani legate e capo chinato. Dopo l’arrivo dell’informativa – ritengo – si procederà alla apertura formale di un fascicolo di indagine per le ipotesi di reato che si ravviseranno. Ma se tutto ciò fosse vero, se davvero i militari dell’Arma hanno proceduto in quel modo (io ragiono qui per ipotesi scolastica, in quanto trovo tutto ciò difficile a crederlo) in che cosa incorrono i militari? Questo ci dobbiamo chiedere. Certamente il fatto, se avvenuto, nella sua storicità mette in evidenza una condizione che vìola palesemente le norme sul trattamento delle persone da parte delle autorità, sia in condizioni di libertà che di arresto.In ogni caso, il trattamento riservato a Natale-Hjorth vìola palesemente le norme sui diritti umani in vigore in Italia. In primo luogo l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. È la norma, questa, che viene citata più spesso quando si parla di violazioni compiute da agenti delle forze dell’ordine nei confronti di persone detenute. Un simile avvertimento compare anche su alcuni moduli precompilati forniti alle persone arrestate per ricordare loro i diritti garantiti dalla legge. In Italia, inoltre, da due anni è in vigore una legge contro il reato di tortura che ha introdotto un nuovo articolo del codice penale, il 613-bis, che testualmente dice: “Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. In conclusione, se la indagine parallela dell’Arma in primis dovesse accertare delle responsabilità non vi e’ dubbio che i militari che sono incorsi in simili fatti vanno deferiti all’Autorità Giudiziaria dinanzi alla quale dovranno chiarire la loro posizione.