NAPOLI – Tra gli obiettivi primari per il nostro pianeta c’è senza dubbio la decarbonizzazione, ovvero la riduzione delle emissioni di gas serra con il fine di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, proteggere quindi le foreste e combattere il cambiamento climatico. Con il termine “decarbonizzazione” si indica il processo di eliminazione delle emissioni di anidride carbonica derivanti dall’uso di combustibili fossili. Tra le fondi principali troviamo gas e petrolio, in particolare usati come carburanti per i veicoli. Ormai da diversi anni, per mitigare gli effetti inquinanti di queste fonti di energia non rinnovabili, gli scienziati hanno cercato delle soluzioni ecologiche per sostituirli. Il fine delle ricerche è anche trovare una soluzione al problema dell’esaurimento delle fonti, che sono di fatto limitate. E così sono nati i primi biocombustibili, ovvero ottenuti in modo indiretto da risorse rinnovabili, che dovrebbero essere disponibili potenzialmente senza interruzione. Vengono realizzati a partire dalle biomasse: grano, mais, bietola, canna da zucchero, olio di palma e molto altro. Ma i biocarburanti oltre a presentare molti pregi ecologici hanno anche molti difetti.
Biocarburanti
I biocarburanti possono essere liquidi o gassosi e vengono prodotti a partire dagli scarti e dai residui dell’attività agricola e forestale e relative lavorazioni (incluse sostanze vegetali e animali), così come la parte biodegradabile dei rifiuti e dei reflui industriali e domestici. Sono considerati una risorsa rinnovabile, in quanto la loro produzione si basa essenzialmente su materie prime in grado di rigenerarsi e riprodursi in breve tempo. Vengono classificati in due tipologie: ‘prima generazione’ e ‘avanzati’, ovvero di seconda o terza generazione. Quelli di prima generazione sono prodotti a partire da materie prime agricole, potenzialmente utilizzabili a fini alimentari. Rientrano in questa categoria tutti quei biocarburanti ricavati direttamente da sostanze organiche a uso alimentare, come vegetali ricchi di zucchero e amidi, grassi animali e oli vegetali: grano, canna da zucchero, mais e girasole . Quelli avanzati sono invece prodotti a partire da biomasse non utilizzabili per l’alimentazione umana o animale che non comportano sottrazione di terreno agricolo alla produzione alimentare o cambi di destinazione agricola. In questa categoria rientrano la colza (da una pianta floreale si estrae un combustibile dalle proprietà simili al diesel), il miscanto (un’erba perenne) e alcune alghe marine.
I pro
Tra i pregi dell’impiego dei biocarburanti troviamo l’impatto ambientale in quanto essendo fonti rinnovabili non risentono quindi della scarsità dei giacimenti del petrolio. Inoltre parte della CO2 prodotta viene riassorbita dal nuovo ciclo vitale delle coltivazioni di cui si avvalgono, inoltre sono pressoché privi di metalli pesanti dannosi per la salute. Altro pregio è il recupero degli scarti e dei rifiuti di lavorazione che altrimenti verrebbero sprecati.
I contro
Lo svantaggio primario dell’impiego dei biocarburanti è quello di togliere terreno agricolo usato per la produzione di alimenti. Il peso dello sfruttamento dei terreni e della modifica delle destinazioni d’uso di queste piante commestibili ovviamente sarebbe maggiore nei Paesi meno sviluppati, dove le risorse alimentari sono già scarse e si fa fatica a sostenere il fabbisogno alimentare. Un secondo problema è il rapporto tra energia necessaria per produrlo e quella che genera che non è sempre favorevole. Non tutti i biocarburanti infatti possono approfittare di una compensazione completa della CO2 con il ciclo vitale delle piante d’origine, quindi non possono considerarsi energia al 100% pulita. Un terzo problema riguarda la deforestazione. L’aumento della richiesta di biocarburanti sul mercato sta spingendo molte nazioni, soprattutto a Sud del mondo, a disboscare intere foreste per far spazio a campi di colza, girasole e olio di palma per produrre energia. Un peso che il nostro pianeta non potrebbe reggere.