MILANO – In Birmania “i militari impediscono l’accesso a beni essenziali come acqua e cibo”. È quanto denuncia Amnesty International Italia. Dopo aver preso il potere il 1° febbraio 2021 con un colpo di Stato, le forze armate di Myanmar stanno lanciando attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, ostacolando l’accesso ai servizi fondamentali per la sopravvivenza, ha documentato Amnesty International, denunciando il sistematico tentativo della giunta militare di ridurre alla fame la popolazione e impedire l’accesso alle cure mediche per stroncare la resistenza armata che si oppone al golpe.
“Da oltre 60 anni, le forze armate di Myanmar applicano la cosiddetta ‘strategia dei quattro tagli’ nelle zone di frontiera per sottrarre consenso popolare ai gruppi armati etnici che combattono per l’autodeterminazione. Questa strategia, che ha effetti devastanti sulla popolazione civile, viene ora applicata anche nelle zone dove sono attive le nuove Forze di difesa popolare”, scrive Amnesty, aggiungendo che “per contrastare la resistenza armata, i militari non solo lanciano attacchi aerei indiscriminati e danno fuoco a centinaia di case, ma impediscono anche l’accesso a beni e servizi fondamentali ai civili nelle diverse aree etniche e geografiche”.
Dal colpo di stato del 1° febbraio, le Nazioni Unite hanno identificato 284.700 sfollati interni a causa degli scontri armati e dell’insicurezza e almeno due milioni di nuove persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Per il 2022 si prefigura un ulteriore peggioramento della situazione.
Il 9 dicembre le Nazioni unite hanno definito “gravemente limitato” l’accesso umanitario, a causa dei blocchi stradali e dell’aumento dei controlli sulle forniture e sul personale che le accompagna.
Amnesty International racconta sul suo sito alcune storie, cambiando i nomi dei protagonisti per ragioni di sicurezza. Racconta per esempio la storia di Katherine, costretta a sopravvivere a stento nella foresta per sfuggire ai combattimenti. La donna era entrata nel secondo trimestre di gravidanza quando, nel maggio 2021, sono iniziati i combattimenti tra le forze armate e gruppi armati etnici e di resistenza civile dello stato di Kayah. L’esercito ha condotto attacchi aerei, usato l’artiglieria pesante e ucciso indiscriminatamente costringendo 100mila persone alla fuga nel giro di un mese.
Il 9 giugno il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, ha parlato del rischio di “decessi di massa a causa della fame, delle malattie e dell’esposizione” dal momento che l’esercito impediva alla popolazione di avere accesso al cibo, all’acqua e alle medicine e bloccava l’arrivo degli aiuti.
Quando i combattimenti hanno raggiunto il villaggio di Katherine, lei e suo marito sono fuggiti nella foresta insieme ai loro bambini. Hanno dovuto spostarsi numerose volte in cerca di salvezza e hanno trascorso la stagione delle piogge sotto un telone di plastica, ricevendo scarse quantità di cibo da alcuni gruppi umanitari locali e da altri villaggi.
Al settimo mese di gravidanza, Katherine ha iniziato a vomitare, a respirare male e a parlare con difficoltà. All’ottavo mese, le sue gambe si erano così gonfiate da impedirle di camminare. A ottobre, ha partorito ma subito dopo lei e il neonato sono morti.
Un altro caso raccontato da Amnesty è quello della 30enne Tian Lan, fuggita nella foresta insieme al marito con i loro cari sulle spalle. Nelle regioni di Sagaing e Magway e nello stato di Chin, nel nordovest di Myanmar, i combattimenti hanno causato oltre 93.000 sfollati. Anche in queste zone le forze armate hanno lanciato attacchi aerei contro zone abitate, hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato e hanno dato fuoco alle abitazioni. Quando, nel maggio 2021, i combattimenti si sono fatti più intensi, Tian Lan è fuggita nella foresta insieme al marito, ai loro due figli, al padre e alla nonna. Hanno dovuto portare sulle spalle i due anziani, uno di 77 anni e l’altra centenaria. Hanno costruito un riparo con teli di plastica, dove lasciarli quando uscivano dalla foresta per cercare qualcosa da mangiare o si addentravano ulteriormente per evitare che i militari udissero i pianti dei bambini.
Secondo stime delle Nazioni unite, da quando nel marzo 2021 sono ripresi gli scontri tra l’esercito e un gruppo armato indipendentista dello stato di Kachin gli sfollati sono oltre 15mila.
Sei operatori umanitari intervistati da Amnesty International hanno raccontato i vari modi con cui l’esercito di Myanmar limita gravemente l’accesso agli aiuti umanitari, arrestando gli operatori, confiscando o distruggendo cibo, medicine e altri beni o restringendo il loro trasporto.
Nel novembre 2021 le Nazioni Unite hanno definito “fragile” la situazione di sicurezza nella zona sudorientale di Myanmar e “fortemente limitato” l’accesso degli aiuti umanitari.
Nello stato meridionale di Shan, dove gli scontri sono iniziati nel maggio 2021, gli operatori umanitari locali hanno cercato di inviare aiuti umanitari alla popolazione che si era rifugiata sulle montagne. I militari hanno dapprima sparato contro un furgone che trasportava sacchi di riso, poi distrutto una scuola dove erano conservate scorte di cibo, medicinali e gasolio. Infine, hanno attaccato gli sfollati sulla montagna, costringendoli a fuggire nuovamente.
“I militari collocano regolarmente posti di blocco lungo le strade per controllare i veicoli che trasportano aiuti umanitari. Aprono le scatole e trafugano il contenuto”, denuncia Amnesty, secondo cui la stessa situazione si riscontra nel nordovest del Paese. Il 9 dicembre le Nazioni Unite hanno denunciato la penuria di cibo, medicinali e gasolio.
Nelle zone dove i combattimenti sono più aspri, a volte sono gli autisti a rifiutare di guidare i veicoli.
Da settembre, inoltre, i militari hanno bloccato l’accesso a Internet in molte zone del centro e del nordovest di Myanmar e, in alcune di esse, anche i servizi di telefonia mobile. Di conseguenza, è difficile ricevere informazioni aggiornate e sapere quali sono i beni di cui c’è maggiore bisogno.
(LaPresse)