Anche il Consiglio di Stato dà ragione a un gruppo di allevatori che si oppongono alle misure antibrucellosi della Regione. Con la sentenza 5019 pubblicata in questi giorni, la terza sezione di Palazzo Spada ha respinto il ricorso presentato dall’Asl di Caserta contro Carmela De Lellis, Luigi Renzo, Alfonso Simonelli, Gianmario De Pascale, Roberto Andrea Di Canzo, Pasquale Capasso, Francesco Paolo Leggiero, Gerardo Caputo, Luigi Simonelli, Maria Gnocchi, Stefano Gambero, Marcellino Angelillo, Luigi Della Minerva, Unione Coltivatori Italiani Zonale di Piedimonte Matese, Unione Italiana Mezzadri – Coltivatori Diretti – Zona Matese, non costituiti in giudizio, e nei confronti della Regione Campania.
L’azienda sanitaria chiedeva la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania del 2021 che aveva dato ragione agli allevatori. Aziende zootecniche e associazioni di categoria hanno impugnato la delibera della giunta regionale 207 del 20 maggio 2019 con il “Piano straordinario per il controllo delle Malattie Infettive della bufala mediterranea italiana per la Regione Campania”, reputando lesive dei propri interessi alcune previsioni relative sia alla brucellosi bufalina che alla tubercolosi nella stessa specie.
Questo ricorso è stato accolto limitatamente alll’irragionevolezza e l’illegittimità della disposizione sulla “Esecuzione prove diagnostiche”, nella parte in cui “consente l’emanazione dell’ordine di abbattimento di animali reputati infetti, pur a fronte di dati diagnostici non pienamente esaustivi e tra di loro contraddittori”.
Più precisamente, la norma contestata stabilisce che se tutti i capi risultati positivi al test Idt individuale risultano anche tutti negativi all’indagine supplementare, si procede alla revoca del sospetto/sospensione; se almeno un capo è positivo al test gamma-interferon, tutti i capi già positivi alla Idt individuale e il capo o i capi i positivi al gamma-interferon vengono inviati a macello.
Questa previsione sarebbe in evidente contrasto con l’ordinanza del Ministero della Salute del maggio 2015 sulle “Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovi-caprina, leucosi bovina enzootica”, che prevede l’abbattimento dei capi soltanto dopo che sia stata definitivamente accertata la loro positività nonché successivamente all’apertura ufficiale del focolaio.
Le misure contenute nel Piano regionale sarebbero totalmente prive di giustificazioni: è incomprensibile, ha notato il Tar nel 2021, per quale motivo sarebbe necessaria l’eliminazione di capi sui quali ci sono esiti diagnostici contraddittori. “irragionevole e sproporzionato” procedere all’abbattimento anche di tutti i capi già positivi al test Idt anche davanti a un dato contraddittorio emergente dai risultati dei due esami diagnostici.
In presenza di test dagli esiti oggettivamente contraddittori, la Regione avrebbe dovuto prevedere la necessità di ulteriori approfondimenti, anche ripetuti nel tempo, ferma restando l’adozione di tutte le necessarie misure di isolamento e di precauzione. E il Consiglio di Stato condivide la linea seguita dai giudici di primo grado: l’abbattimento viene considerato dalla Regione come misura necessaria per contenere l’infezione, ma lo svolgimento di ulteriori indagini non esclude la parallela adozione di tutte le necessarie misure di isolamento degli animali sospettati di essere infetti e delle ulteriori necessarie precauzioni per scongiurare la diffusione del contagio durante il tempo occorrente allo svolgimento degli approfondimenti.
Bisogna quindi consentire l’esecuzione di ulteriori accertamenti mediante l’utilizzo di tecniche scientifiche di più accurata rilevazione della patologia e preservare la salute, il risanamento e l’integrità degli animali laddove solo sospettati, sulla base di dati ampiamente contraddittori, di essere portatori del morbo.
Il servizio di Report in onda domani
E domani Report tornerà a occuparsi dell’emergenza brucellosi bufalina con un servizio realizzato da Bernardo Iovene. La trasmissione di Rai3 darà voce agli operatori del settore: migliaia di capi abbattuti “potevano essere salvati con una semplice vaccinazione”, secondo quanto nota un allevatore. In tutto ci sono “140mila bufale massacrate ingiustamente e 300 aziende che hanno già chiuso”.
La vaccinazione stava funzionando, ma nel 2014 è stata interrotta e i casi sono saliti, mentre da 2 anni infuria la protesta degli allevatori, con azioni eclatanti come blocchi stradali e lo sversamento del late di bufala. A marzo di quest’anno sono arrivate due sentenze amministrative che annullano gli abbattimenti.
La perizia (verificazione) disposta dai giudici è giunta a conclusioni esattamente contrarie a quelle dell’Asl Caserta, secondo quanto ha dichiarato a Report un allevatore “accertando che non sussisteva la malattia”. “Ora bisogna agire – ha detto il portavoce degli allevatori Gianni Fabbris – e va nominato il commissario nazionale dandogli compiti precisi”.