NAPOLI (Sergio Olmo) – Se ci fosse qualcosa da ridere, ma non c’è, potremmo definirlo alla Tognazzi: un ennesimo, clamoroso, caso di “supercazzola”. Di sicuro, la tabella sui casi di brucellosi in Campania negli anni 2022 e 2023 depositata dal Commissario campano alla Brucellosi Luigi Cortellessa in commissione Agricoltura, in occasione dell’audizione del 26 aprile scorso, impedisce una lettura chiara del fenomeno: percentuali tirate così, a caso, ricorso a terminologie spesso inappropriate, rinvio a procedure che nulla hanno a che vedere con le norme europee cui si richiamano, totale assenza di informazioni cruciali. Un disastro, indipendentemente dall’idea che uno voglia farsi su eventuale ignoranza, incapacità o malafede.
Ma andiamo con ordine. Intanto, le percentuali riportate sul numero di animali positivi alle prove sierologiche e alla Pcr (un sistema che individua eventuali tracce di materiale genetico di microrganismi patogeni) sono imperscrutabili se è vero, come è vero, che un test va correlato all’insieme dei capi da valutare e non solo a quelli sottoposti allo specifico test. Per cui, i 1.628 positivi alla Pcr sono il 17,3% del totale degli animali positivi alle prove sierologiche (9.393) e non il 33% riportato nella tabella, che è la percentuale, appunto, dei positivi alla sola Pcr.
Stesso discorso vale per la percentuale dei positivi agli esami batteriologici (685 eseguiti) che sono il 7,29% dei positivi alle prove sierologiche e non il 19% riportato. E così via anche per la percentuale delle positività all’esame batteriologico e le positività alle prove sierologiche che è il 6,33 % e non il 28% riportato. Come dire, la percentuale di animali dimostrati effettivamente infetti “casi confermati” appare ben inferiore a quanto si vorrebbe far credere.
Ma, indipendentemente dalle regole del gioco (delle tre carte?) non c’è dubbio che le percentuali di casi definiti “di infezione”, soprattutto a fronte dell’articolo 9 del regolamento europeo 698 del 2020, sono e restano comunque preoccupanti: mandare al patibolo migliaia di capi sapendo che sono infetti solo il 30 o 40 %, ma in realtà lo sarebbero appena il 19% (nel 2022) e il 28% (nel 2023), è semplicemente inconcepibile e ingiustificabile da qualsiasi punto di vista precauzionale lo si voglia prendere.
Ma non è tutto perché, da come si legge, le prove indirette sarebbero state effettuate per dichiarare casi confermati ex art. 9 del regolamento europeo che dice tutt’altro. C’è da sperare che si tratti di sciatteria linguistica, di una stesura frettolosa, perché se così non fosse ci si ritroverebbe senz’altro di fronte a una candida confessione di una grave violazione del regolamento europeo o, nella migliore delle ipotesi, in un caso di incapacità interpretativa delle norme.
Altro dato che a dir poco preoccupa, attiene alla cosiddetta “legenda” della tabella laddove gli esami svolti al macello (attività A05), che per legge, dal settembre 2022 riguardano tutti i capi provenienti da stabilimenti sospetti e infetti d’infezione, rivelano numeri sorprendenti: prendendo per buono il numero di animali sottoposti a esami batteriologici, e cioè 3.570 nel 2022 e 564 nel 2023, questo numero dovrebbe essere non molto distante da quello degli animali sieropositivi, e cioè 9.393 nel 2022 e 2.498 nel 2023, incoerenza, questa, che ritroviamo anche per i capi sottoposti agli esami Prc. Di fatto la percentuale degli esami batteriologici e di quelli Pcr dovrebbe dare un numero pari (o almeno vicino) a 100%. Ma neanche qui ci siamo.
Inoltre, se è vero, come sappiamo, che l’esame batteriologico viene effettuato sull’effettivo dell’allevamento finché non si isola la brucella (e lo si fa per tutta la vita del focolaio) e che l’esame Pcr viene effettuato su tutti i capi provenienti da stabilimenti di cui sopra, qualcuno dovrebbe spiegare perché si sottolinea che gli stessi vengono effettuati ai fini epidemiologici quando il Regolamento europeo, sempre il 689 del 2020, li prevede invece ai fini della conferma dei casi che le prove sierologiche o indirette segnalano come sospetti. Per cui ci sarebbe da chiedersi se chi ha redatto la tabella si sia effettivamente preso la briga di leggersi le norme sulla profilassi della brucellosi oppure no.
Quello che però manca è il dato più significativo, quello davvero rilevante. Quello chiesto più volte e mai ottenuto, la madre di tutte le informazioni: il numero degli allevamenti dichiarati sede focolaio nei quali non è stata confermata la presenza dell’infezione. In soldoni, nessuno nelle stanze dei bottoni, ha mai rivelato, pur sapendolo sicuramente, in quanti allevamenti si è proceduto agli abbattimenti, magari dell’intera stalla, e a ordinare misure di polizia veterinaria senza che negli stessi vi fosse stato un solo caso confermato di infezione.
In definitiva se la tabella palesa una inquietante carenza di trasparenza, dall’altro testimonia persino una assoluta incongruenza tra l’interpretazione dei dati e quanto stabilito dalle norme in vigore, a parte l’approssimazione e un cattivo uso della nostra patria lingua e dell’aritmetica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA