La questione dei numeri mi ha sempre affascinato. Vuoi per la mia formazione scientifica (prima di dedicarmi al giornalismo e alla comunicazione mi sono laureato in informatica), vuoi perché all’esame di statistica all’università presi a sorpresa 27 mentre credevo che le due docenti stessero discutendo la mia bocciatura. Fatto sta che vedere Brunetta festeggiare per il PIL a +6,5 percento mi ha stranito immediatamente. Soprattutto perché il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha festeggiato l’evento con queste parole: “La crescita nel 2021, presumibilmente, sarà del +6,5%: un risultato strepitoso. Un anno da vero e proprio boom economico per il nostro Paese”. Ora, nell’immaginario collettivo, quando si parla di boom economico o pensiamo ad attuali analfabeti digitali che hanno vissuto il bene e iniziato a generare il male del sistema italiano o pensiamo – in effetti – a situazioni di benessere diffuso e collettivo. Insomma, un miglioramento delle condizioni di tutti.
La realtà dei fatti è ben diversa da arcobaleni e unicorni e basterebbe dire al grande pubblico, quello che come me non aveva compreso di non essere stato bocciato all’esame di statistica e che pure in economia si è trovato un 24 quantomeno discutibile, che il rapporto l’Istat lo sta facendo paragonando lo scenario del 2021 con quello del 2020 (l’anno delle fabbriche chiuse per Covid, le casse integrazione etc.etc.) e che molto più correttamente bisognerebbe tradurre il tecnicismo in “la crescita del 6,5% del Pil nel 2021 fa recuperare all’economia italiana la gran parte della caduta registrata nel 2020” (ecco come la spiega il Sole 24 Ore citando sempre l’Istituto di statistica).
Non vi è bisogno certo di Brunetta per arrivare alla riflessione del mio amico Felice che, sotto al mio post di Facebook quasi muto con una foto del Ministro in un noto salotto TV in una gestualità tutta sua, spiegava che “il rimbalzo, per quanto forte, viene dopo un anno in cui abbiamo perso il 9.5% (e non voglio nemmeno menzionare il fatto che è ancora 500 miliardi più basso di quello del 2008,in valore assoluto); ma, per usare solo l’aritmetica, se io parto da 100 nell’anno n, nell’anno n1 perdo il 10% e nell’anno n2 guadagno il 10%, rispetto all’anno n sono comunque sotto di 1 in termini assoluti (100-10+9)”. Felice, che è fuggito dall’Italia anni addietro e ora felicemente paga le tasse in Irlanda con una meritata posizione lavorativa, ha poi ripromesso di bruciare la laurea in economia.
I numeri mi affascinano, soprattutto quando Brunetta poi smette di parlare di questo universo parallelo che sta in testa a pochi ottimisti Ministri e ad alcuni titolisti di webzine in occasione della diffusione dei dati sull’occupazione (l’ISTAT è così, crea suspense a puntate). Perché esattamente all’indomani delle lodi al PIL e all’Italia “locomotiva d’Europa” (quella frase della Merkel sul fatto che i tedeschi dovevano gestire la pandemia con gli italiani forse ha gasato troppo alcuni osservatori) sono arrivati i dati stupendi sull’occupazione e anche lì, udite udite, siamo migliorati rispetto al 2020 (e anche qui, ci mancherebbe). Ma se poi si fanno le pulci al rapporto, così come dovrebbe essere (ma a noi giornalisti la pigrizia ormai ci appartiene proprio come categoria professionale), scopriamo che “la media, a conti fatti, è di soli mille occupati in più in un mese” (Linkiesta), che “il tasso di occupazione è stabile” (ISTAT), che “continuano a mancare all’appello 286 mila posti di lavoro rispetto ai livelli pre-Covid” (LaNotizia) e che – e questa è magia – crescono solo i contratti a termine. In pratica, ai livelli pre-Covid non ci siamo ancora ma in compenso stiamo sostituendo una classe di lavoratori con contratti stabili con una classe di lavoratori con contratti precari.
Cose che nemmeno a commentare simpaticamente il singolo dato da titolo (+2,4 percento di occupati) possono restituirci un Brunetta sorridente. Ma, del resto, che siamo in una situazione complessa ce ne accorgevamo anche da soli, guardando le offerte di lavoro su LinkedIn o provando a farsi assorbire dal mercato attuale; tutti questi numeri rischiano solo di confondere la granitica certezza che stiamo ancora, fortemente, incredibilmente inguaiati.