ROMA – Un risultato dolceamaro. Carlo Calenda abbandona il sogno di diventare sindaco di Roma ma, allo stesso tempo, festeggia un risultato “senza precedenti” per una lista civica. Dalle urne di Roma – secondo il leader di Azione – esce un dato fondamentale ovvero che “esiste un’area di riformismo pragmatico che non si accontenta dell’offerta politica attuale e che a Roma ha avuto un risultato significativo”. Poco importa se sarà “il 18 o il 20%”. Certo, dopo un anno di campagna elettorale, Calenda non nasconde di sperare nello sgambetto almeno alla sindaca uscente Virginia Raggi. “Sarebbe importante per la mia autostima ma per il resto non cambia molto”, spiega parlando dal comitato in Viale Trastevere presidato dal pomeriggio dal fedelissimo Matteo Richetti, giunto in bicicletta. “Alemanno e Raggi sono stati i peggiori sindaci della Capitale – argomenta – anche se alla sindaca riconosco che si è battuta, a volte in modo scombiccherato”.
E in attesa di poter pesare il risultato delle urne nella sua globalità Calenda mette subito in chiaro di voler mantenere il suo profilo di indipendente anche per quanto concerne al ballottaggio. “Ho già detto chiaramente che non faremo apparentamenti e alleanze. La ragione è che questa lista è stata votata da cittadini di centro, di sinistra e di destra e sarebbe scorretto utilizzare il loro voto”, ragiona. “Sulla questione di un’eventuale indicazione di voto decideremo nei prossimi giorni – precisa – e come indicazione di voto intendo personale e senza contropartite”. Porta al momento chiusa quindi al segretario dem Enrico Letta, che aveva parlato di due strade destinate a convergere. “La presunzione del Pd di decidere loro chi sta dove è sbagliata”, dichiara senza giri di parole.
Anche perché il progetto Azione, catapultato in chiave nazionale, guarda oltre. L’idea spiegano fonti qualificate, confortata dai risultati di Roma, è che al centro ci sia un spazio “significativo” di manovra per poter uscire dalla dicotomia “comunisti e sovranisti” che – a dire di Calenda – porta alla “perenne ingovernabilità dell’Italia. Tanto è che poi siamo costretti a chiamare Draghi”. E’ necessario quindi aprire una “fase nuova” a livello nazionale.
Nel frattempo l’ex ministro dello Sviluppo Economico – come annunciato da tempo – essendo tagliato fuori dalla corsa per il Campidoglio resterà all’Europarlamento. A Roma resta un risultato forte e ottenuto a mani nude ma non abbastanza per scardinare il voto di appartenenza che “ha tenuto, anche con candidati non propriamente preparatissimi, ma fino a un certo punto”. Il sogno di poter entrare in Campidoglio non si è avverato ma l’obiettivo di poter diventare ago della bilancia, tanto nel voto capitolino quanto in futuro nel panorama nazionale, potrebbe essere a portata di mano.
(LaPresse/Andrea Capello)