Campania, i dettagli della confisca di 25 milioni di euro all’editore di TV Luna

L’uomo d’affari perde lo studio odontotecnico, il gruppo editoriale e una società immobiliare. I giudici: patrimonio accumulato illecitamente

L'imprenditore Pasquale Piccirillo e i finanzieri negli studi di Tv Luna

CASERTA – Venticinque milioni di euro: è il valore dei beni riconducibili all’imprenditore Pasquale Piccirillo, ex assessore provinciale e patron di Tele Luna, che sono finiti nelle mani dello Stato. Il decreto di confisca emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere è stato confermato dalla Cassazione. Il provvedimento che  nel 2018 aveva ‘spogliato’ Piccirillo di case, terreni, conti e quote societarie, proprietà che per i giudici l’uomo d’affari ha accumulato illecitamente, adesso è irrevocabile (e ieri è stato eseguito dalle fiamme gialle del Comando provinciale di Caserta).
A far scattare i sigilli è stata la complessa attività investigativa, realizzata dal Nucleo di polizia economico-finanziaria, tesa a ricostruire “il profilo di pericolosità sociale” di Piccirillo e ad individuare “i proventi illeciti che gli hanno permesso un ingiustificato arricchimento personale e l’accumulazione, nel tempo, di un ingente patrimonio incongruente con i redditi dichiarati”.

A seguito di questi accertamenti, l’imprenditore, attivo nei settori sanitario, editoriale, delle telecomunicazioni e immobiliare, aveva subito pure l’applicazione di una misura di prevenzione a carattere personale, essendo stato riconosciuto come un soggetto socialmente pericoloso sul piano “economico-finanziario” alla luce del suo coinvolgimento, nel periodo 2005-2017, in molteplici vicende giudiziarie concernenti, in particolare, numerosi e diversi delitti a sfondo patrimoniale, “quali – hanno ricordato le fiamme gialle in una nota – truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, riciclaggio, appropriazione indebita e delitti tributari per evasione fiscale ed utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
Per far luce sull’origine del rilevante patrimonio dell’imprenditore e del suo nucleo familiare, la guardia di finanza ha raccolto numerosi documenti, tra cui i contratti di compravendita dei beni e delle quote societarie, nonché numerosi altri atti pubblici che hanno interessato nel tempo i congiunti del businessman, “verificando poi, per ogni transazione, le connesse movimentazioni finanziarie sottostanti alla creazione della necessaria provvista economica”. Il materiale raccolto “è stato oggetto di approfondimenti, anche bancari – hanno aggiunto gli investigatori –  che hanno consentito di accertare un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e le disponibilità finanziarie invece utilizzate per le acquisizioni patrimoniali, oltre all’utilizzo strumentale delle società allo stesso riconducibili per mascherare la titolarità del suo ingente patrimonio immobiliare e per drenare liquidità attraverso fittizie operazioni di restituzione di finanziamenti”.
E’ proprio questa ricostruzione che nel 2018 spinse il palazzo di giustizia sammaritano a disporre il sequestro, in vista della successiva confisca, delle quote societarie e relativi complessi aziendali di tre imprese legate all’ex assessore. Di cosa si occupano? Una di odontoiatria (uno studio convenzionato con il Servizio sanitario nazionale), un’altra controlla un gruppo editoriale e la terza un’immobiliare. E restando in tema di immobili, erano 93, ubicati in Campania, Lazio, Abruzzo e Svizzera (tra cui rientrano anche ville private situate in note località turistiche), quelli che già 4 anni fa vennero bloccati. I sigilli riguardarono pure 8 autoveicoli e  22 rapporti bancari (conti correnti, conti di deposito e altri investimenti finanziari).

Deve difendersi dall’accusa di corruzione

Se l’iter riguardante la misura di prevenzione che ha colpito Pasquale Piccirillo con la recente sentenza della Cassazione è da considerare ormai un capitolo chiuso (la confisca dei beni è irrevocabile), quello che vede a giudizio l’imprenditore, dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con l’accusa di corruzione, è tutto ancora da scrivere. Il processo è alle battute iniziali. Ad innescarlo è stata l’indagine, condotta dai carabinieri del Nas di Napoli e del comando provinciale di Caserta, che nel 2020 spinse l’ufficio gip ad emettere 17 misure cautelari. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi, poi revocati, c’erano Pasquale Corvino, ex vicesindaco di Caserta e già presidente della squadra di calcio Casertana, e proprio Piccirillo. Al primo viene contestato l’aver gestito una presunta struttura criminale in grado di truffare il Sistema sanitario nazionale attraverso certificati di medici compiacenti (o a volte all’oscuro di tutto) con i quali venivano autorizzati esami clinici eseguiti solo su carta, ma che i laboratori d’analisi riconducibili al casertano presentavano alle Asl per ottenere indebitamente i rimborsi. Piccirillo, invece (estraneo al sistema Corvino), risponde di un’ipotesi di corruzione. Per la Procura di Santa Maria Capua Vetere avrebbe dato una mazzetta ad un funzionario dell’Asl, addetto al servizio Economico-Finanziario, con l’obiettivo di far risparmiare ad una delle sue ditte 252mila euro. Andiamo nel dettaglio: il dipendente, in cambio del denaro, avrebbe ridotto la quota capitale e di interessi dovuta proprio da Piccirillo, in qualità di proprietario e direttore sanitario del centro odontoiatrico ‘Sdp’ a favore dell’Asl “per prestazioni non rimborsabili dal servizio sanitario nazionale o per applicazione della regressione tariffaria unica”. In soldoni, il businessman aveva un debito con l’Asl e grazie ai presunti ‘servizi’ del funzionario sarebbe riuscito a ridurli. A pagare meno.
Martucci tecnicamente “attraverso l’accorpamento di 5 piani di rientro gravanti” sulla società “in un unico piano”, stando a quanto sostenuto dalla Procura, era riuscito a far abbattere “la quota di interessi” e la quota capitale, “generando un risparmio di 252mila euro”.

“Vive di proventi delittuosi”

E’ tra i soggetti “che vivono anche con proventi di attività delittuose”: sono le parole che i giudici di Santa Maria Capua Vetere avevano usato per codificare Pasquale Piccirillo nella sentenza con cui già nel 2020 disposero i sigilli a parte del suo tesoro. A spingerli a ricorrere ad una frase così dura fu la sua biografia giudiziaria. Piccirillo nello gestire i propri affari, che spaziano dal campo dell’editoria alla sanità, si sarebbe servito “di un coagulo di società e persone giuridiche di vario tipo, tutte sostanzialmente a lui riconducibili, attraverso le quali compendiava i guadagni” di operazioni “illecite oltre ai proventi dell’evasione”. Il palazzo di giustizia aveva ravvisato nell’imprenditore una pericolosità sociale iniziata nel 2007 e rimasta immutata almeno fino al 2017. Circostanza che portò i togati a sottoporlo a 2 anni di sorveglianza speciale (ma senza obbligo di soggiorno). Tesi che ha trovato d’accordo, ora, anche la Cassazione.

L’inchiesta sulla coop ‘Dossier’

Ad aggredire il patrimonio di Pasquale Piccirillo non è stata solo la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Nei mesi scorsi lo ha fatto anche la Corte dei conti di Napoli: su suo ordine, infatti, le fiamme gialle dei Nuclei di polizia economico-finanziaria di Taranto e di Caserta (il 17 luglio) hanno sottoposto a sequestro beni, dal valore di 4,2 milioni di euro, della Dossier Società Cooperativa Giornalistica. Quei sigilli hanno riguardato immobili, conti correnti e crediti riconducibili proprio a Piccirillo, ritenuto amministratore di fatto della coop, Antonio Sollazzo e Maria Caterina Bagnardi, rappresentanti legali della compagine. Il lavoro dei finanzieri avrebbe fatto emergere che la Dossier (beneficiaria di ingenti contributi statali) aveva più volte cambiato sede legale e denominazione di testata giornalistica, producendo falsa documentazione attestante un assetto societario diverso da quello reale. Stratagemma, dice l’accusa, che aveva indotto in errore la Presidenza del consiglio – Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Roma, ad erogare indebitamente, per gli anni che vanno dal 2008 al 2012, contributi pubblici per circa 4,2 milioni di euro (la somma che lo Stato ha tentato di recuperare sequestrando i beni di Piccirillo e compagnia).


LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome