NAPOLI – Settanta misure cautelari, tra arresti e fermi, oltre mille militari impiegati e sequestri per circa un miliardo di euro. E’ questo il bilancio dell’operazione da grandi numeri portata a termine con la sinergia di quattro procure distrettuali, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria e Roma. Un blitz che ha colpito il business delle frodi nel settore degli oli minerali un campo criminale che finora sembrava riservato a “specialisti” delle cartiere e delle frodi carosello, non necessariamente legati a clan della criminalità organizzata. Invece i clan c’entrano e hanno lavorato in sinergia. Coinvolti nel business Moccia, Casalesi, Mazzarella, D’Amico e Formicola. Senza contare i clan della ‘Ndrangheta. L’operazione ‘Petrol-mafie Spa’ rappresenta l’epilogo di indagini condotte su una duplice direttrice investigativa dalle quattro Direzioni distrettuali antimafia con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust – che hanno fatto emergere la gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della commercializzazione illecita di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome. Sul fronte della camorra risulta centrale il clan Moccia nel controllo delle frodi negli oli minerali oggetto delle misure, sul versante della ‘ndrangheta i clan coinvolti sono Piromalli, Cataldo, Labate, Pelle e Italiano nel reggino e Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani a Catanzaro. Ma c’entrano anche i Casalesi.
Tra i destinatari del provvedimento c’è anche Armando Schiavone, figlio di Alfonso Schiavone detto ’o tartarone, quest’ultimo uno dei pochi assolti nel processo Spartacus. Armando Schiavone è detenuto dal novembre del 2017 dopo la sentenza in Cassazione. Originario di Casal di Principe la famiglia si è poi trasferita a Sessa Aurunca. Poi ci sono Alberto Coppola, Giuseppe Vivese, Giuseppe Mercadante e Ferdinando Auriemma. Avrebbero aiutato Schiavone, loro socio in affari nel settore del commercio di prodotti petroliferi, a sottrarsi alla esecuzione della pena fornendo al medesimo appoggio logistico, garantendogli risorse finanziarie attraverso il coinvolgimento nei remunerativi affari del gasolio illegale. Quest’inchiesta prende le mosse nel 2015 da un’indagine del Gico che riguardava inizialmente rilevanti investimenti del clan Moccia nei settori dell’edilizia e del mercato immobiliare. A conferma dell’importanza attribuita al nuovo canale ‘legale’ di investimento, se ne occupa personalmente un esponente di vertice del clan, Antonio Moccia attraverso contatti, ampiamente intercettati, con l’imprenditore di settore Alberto Coppola, coi commercialisti Claudio Abbondandolo e Maria Luisa Di Blasio e col faccendiere Gabriele Coppeta. Infatti Coppola utilizzava nelle proprie relazioni commerciali la sua parentela con Antonio Moccia, presentandosi all’occorrenza come suo cugino; lo stesso Moccia qualificava Coppola pubblicamente come suo “cugino”. Attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo entra in rapporti con la Max Petroli Srl, ora Made Petrol Italia Srl, di Anna Bettozzi, che aveva ereditato l’impero del defunto Sergio Di Cesare, noto petroliere romano.
La Bettozzi, trovandosi a gestire una società in grave crisi finanziaria, grazie alla conoscenza di Coppola era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di vari clan di camorra, tra cui quelli dei Moccia e dei Casalesi, che le avevano consentito di risollevare le sorti dell’impresa, aumentando in modo esponenziale il volume d’affari, passato da 9 milioni di euro a 370 milioni di euro in tre anni, come ricostruito. Risulta che la Bettozzi avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i classici sistemi di frode nel settore degli oli minerali, attraverso la costituzione di 20 società “cartiere” per effettuare compravendite puramente cartolari in modo tale eludere con la Made Petrol le pretese erariali, potendo così rifornire i network delle c.d. “pompe bianche” a prezzi ancor più concorrenziali.
Il boss, la vedova del petroliere e il patto d’affari con i Mazzarella
Nel maggio del 2019 Anna Bettozzi, vedova del petroliere romano Di Cesare, fu fermata a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia mentre si recava a Cannes per partecipare al festival del cinema. Fu trovata in possesso di circa 300.000 euro in contanti. Questo fece scattare un accertamenti presso il lussuoso albergo a Milano dove soggiornava. Lì furono trovati altri 1,4 milioni di euro, sempre in contanti, poi sottoposti a sequestro. La Bettozzi, imprenditrice e aspirante popstar, è un personaggio chiave dell’inchiesta. Quei soldi danno chiaro il metro di quanti soldi possano girare attorno all’affare.
“Ci siamo imbattuti negli investimenti che hanno consentito a Max Petroli di inondare l’Italia centromeridionale di gasolio illegale. Parliamo di 450 milioni di litri” ha spiegato la Finanza. Gli investimenti si sono moltiplicati vertiginosamente. Dai 9 milioni del 2016 si è passati a 70 milioni di euro nel 2018. Antonio Moccia, Alberto Coppola e Anna Bettozzi risultano gravemente indiziati di aver stretto un patto di ferro. I soldi del boss afragolese venivano ripuliti proprio dalla Bettozzi. Il rapporto con Alberto Coppola è stato fondamentale per la donna in quanto l’uomo è subentrato nell’azienda in un momento di evidenti difficoltà economiche e gestionali dovute anche ai problemi di salute del marito Sergio Di Cesare. La Bettozzi, indicata come “donna scaltra e molto ben inserita negli ambienti del potere imprenditoriale (e non solo) capitolino” non era tuttavia all’altezza di sostituire da sola il coniuge, petroliere.
Il patto con Coppola e Moccia, dunque, ha apportato agli affari comuni la competenza “specialistica” di Coppola e soprattutto le provviste finanziare e “il sostegno del potere mafioso di Moccia”. Come emerso dalle indagini napoletane, la rilevanza del business dei Moccia nel settore degli oli minerali, nel quale quel clan era diventato egemone proprio grazie ai prezzi super-competitivi ottenuti grazie alle frodi, ha provocato reazioni anche violente da parte di altri clan della camorra. Alberto Coppola ha infatti subito due attentati con esplosione di colpi di pistola, a seguito dei quali non esita a chiedere aiuto al suo referente e parente Antonio Moccia che si attiva. Ne consegue una pax mafiosa, imposta dai Moccia e suggellata con un patto consistente nella cessione di una quota dell’impianto di carburanti al clan Mazzarella. Singolare poi il sistema che era stato escogitato per il trasporto. Ci sono stati in questi anni tanti sequestri di autobotti che, si è poi scoperto, erano state modificate con dei pulsanti che servivano per evitare i controlli. Questioni fiscali. Nel corso del monitoraggio gli autisti fingevano di vendere gasolio da autotrazione spacciandolo per gasolio agricolo. Come? Questione di colori. Il primo ha un peso fiscale più elevato ed ha un colore ambrato. Il secondo invece è di un verde inteso. Quando una pattuglia fermava un veicolo, l’autista premeva un tasto che faceva detonare direttamente nella cisterna una sacca di colorante. Così il carburante ambrato diventava verde. E il gioco era fatto.