S. MARIA CAPUA VETERE – E’ vero. Avevano organizzato la rivolta, fatto le barricate, agito con violenza. Ma se i detenuti il 5 aprile 2020 avevano deciso di protestare con forza, è perché il Covid-19 era entrato nel penitenziario: un cittadino di origini siciliane, recluso nel reparto dell’alta sicurezza, era stato contagiato e portato in ospedale. Il virus terrorizzava e terrorizza anche i carcerati.
Ciò che stava succedendo nella prigione di S. Maria Capua Vetere, stando alle chat recuperate dai carabinieri nei telefoni degli indagati, veniva comunicato passo dopo passo ai vertici del Dipartimento di polizia penitenziaria. Ed è proprio questo l’aspetto che Marta Cartabia, ministro della Giustizia, ha chiesto di approfondire nella riunione di mercoledì mattina tenuta con l’attuale capo del Dap, Bernardo Petralia, e con il sottosegretario Francesco Paolo Sisto: serve tracciare la linea di informazione che ha permesso quella che il gip Sergio Enea ha definito “l’orribile mattanza” nella prigione ‘Francesco Uccella’.
Antonio Fullone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria di Napoli, aveva notiziato del caso di positività al Covid Domenico Basentini (nella foto), all’epoca capo del Dap, alle 10 e 20 del mattino: “[…] Il detenuto lo ricoverano più tardi”, gli disse. E il direttore rispose: “Speriamo bene”. I due, hanno accertato i militari dell’Arma del Comando provinciale di Caserta, si erano tenuti in contatto fino a sera. Basentini era stato informato anche dello screening attuato per verificare eventuali altri contagi e sull’andamento della rivolta: “Due terzi dei test eseguiti su detenuti e personale tutti negativi. Manca l’ultimo piano detentivo. Abbiamo ancora 4 sezione barricate. Per il momento – disse sempre Fullone a Basentini – aspettiamo esiti finali. Ho spostato già 100 uomini su Santa Maria per sostegno. Fibrillazione anche a Secondigliano”. E il messaggio sulla fine della protesta venne inviato al capo del Dap alle 23 e 39. “Protesta rientrata. Alla fine, ma proprio un attimo prima che entrassimo”. Non era stata necessaria la violenza, non era servito l’intervento dei reparti speciali. Tutto si era concluso nel migliore dei modi. Ma il giorno successivo, seppur la situazione era sostanzialmente calma, si decise comunque di attivare quelle perquisizioni che poi sono sfociate, secondo la Procura di S. Maria Capua Vetere, in veri e propri pestaggi. E anche di questa iniziativa (delle perquisizioni), Fullone alle 16 e 48 del 6 aprile avvisò Basentini: “Buonasera capo, è in corso perquisizione straordinaria, con 150 unità provenienti dai nuclei regionali (oltre il personale dell’istituto), nel reparto dove si sono registrati i disordini. Era il minimo segnale per riprendersi l’istituto. Forse le dovrò chiedere qualche trasferimento fuori regione. Il sicuro ritrovamento di materiale non consentito ci potrà offrire l’occasione di chiudere temporaneamente il regime”.
Il provveditore spiegò pure il perché di quella scelta: “Parlo di Santa Maria ovviamente. Il personale aveva bisogno di un segnale forte e ho proceduto così”. E il capo del Dap approvò: “Hai fatto benissimo”. Probabilmente a Basentini l’informazione non arrivò completa. Dei detenuti fatti passare lungo ‘corridoi umani’ e colpiti con calci e pugni, dei detenuti fatti uscire dalle celle per raccoglierli nelle aree di socialità mettendoli faccia a muro per manganellarli, dei detenuti obbligati a tagliarsi barba e capelli, dei detenuti rincorsi per le scale e colpiti alle spalle, dei detenuti fatti inginocchiare e picchiati… non venne informato. Con questo da Fullone non gli fu scritto alcun messaggio. L’allora capo del Dap si limitò a ritenere giusto che quelle perquisizioni, che diedero il via all’inferno, fossero state attivate “per dare un segnale forte”. Una forza che, stando alle immagini del sistema di videosorveglianza del reparto Nilo si tramutò in violenza.
Fullone è tra i 52 indagati dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, coinvolti nell’inchiesta sulle perquisizioni del 6 aprile, raggiunti da misura cautelare E’ stato sottoposto per l’ipotesi di favoreggiamento personale alla sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per 8 mesi. Basentini non figura nell’elenco degli indagati. A maggio si dimise da capo del Dap. Ma per un’altra vicenda. Per le scarcerazioni facili.