MILANO – Dopo quattro aumenti di capitale, tre cambi di proprietà, cinque amministratori delegati e tre commissari la storia di Carige si avvia verso un nuovo capitolo. L’istituto deputato all’acquisizione della banca ligure, i trentini di Cassa centrale banca (Ccb), potrebbe tirarsi indietro.
La Cassa ha una quota dell’8,3% di Carige ma ha tempo fino alla fine del 2021 per esercitare un’opzione riservata di acquisto sull’80% del capitale detenuto dal primo socio – il Fitd – che ne ha determinato il salvataggio nel 2019.
Ccb ha tempo appunto fino a fine anno per decidere se esercitare l’opzione, ma insieme al Fondo – e spinta dalla Bce – ha concordato di prendere una decisione entro fine marzo. Una scelta potrebbe essere stata presa lo scorso lunedì in occasione della riunione del board della holding trentina che riunisce 77 istituti di credito cooperativo. Ma stando a quello che filtra da fonti vicine al dossier, Ccb si dovrebbe sfilare dall’operazione.
Non è chiaro se sarà una rinuncia diretta oppure se la Cassa procederà con una controproposta formale, ad esempio chiedendo di pagare Carige il prezzo simbolico di un euro – come fece Intesa Sanpaolo con le banche venete – più una ‘dote’ di 500 milioni dal Fondo. Quel che è certo è che la proposta di Ccb arriverà sul tavolo del Consiglio del Fitd di domani e che la rinuncia della Cassa, simbolica o meno, riaprirà i giochi per Carige per cui a questo punto dovrà essere individuato un nuovo acquirente.
Non è escluso che da domani e nelle prossime settimane il Fitd entri in una logica per cui sia disposto a cedere Carige. La decisione spetta a due soggetti: Intesa Sanpaolo e Unicredit, i due maggiori contributori dello Schema Volontario del Fondo, che ha comprato le quote di Carige. I due soggetti dovranno fare auspicabilmente la propria scelta in tempi rapidi, dal momento che più mesi passano più potrebbe essere necessario apportare nuovi flussi di capitale alla banca della Lanterna.
Se per Ca’ de Sass l’ipotesi risulta più difficile per questioni di Antitrust, in particolare dopo l’operazione Ubi, per Unicredit la strada sembra meno in salita. Lo scenario potrebbe delinearsi meglio ad aprile, quando al timone di Piazza Gae Aulenti sarà ufficialmente insediato il banchiere con l’appetito per l’M&A Andrea Orcel. Un’eventuale operazione Carige non pregiudicherebbe altre partite per Unicredit.
Restano aperte comunque altre ipotesi. A tal proposito il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, azzarda: “La soluzione, per Carige, può passare eventualmente per una aggregazione a tre assieme alla Popolare di Bari e al Monte dei Paschi di Siena. Non è vero che si metterebbero insieme tre debolezze, ma verrebbe creato un gruppo con una omogenea distribuzione territoriale e di dimensioni adeguate alle richieste della Bce. E con due miliardi di euro da parte dello Stato anziché i 5 promessi a Unicredit per prendere Mps”.
Domani è intanto probabile una dichiarazione rassicurante da parte del Fondo. Il Fitd sarebbe infatti intenzionato a restare in Carige continuando a sostenerlo in attesa di una soluzione più stabile e, quindi, di una banca pronta a subentrare nel capitale. Il Fondo non dovrebbe indicare un termine per la vendita di Carige. Il risiko bancario è dunque riaperto e la strada del riassetto passerà sicuramente da Genova.(AWE/LaPresse)