CASAL DI PRINCIPE – Non ha parlato omicidi, estorsioni o riunioni del clan: Nicola Schiavone, stavolta, ha descritto parte del suo impero. Ai giudici ha raccontato uno dei principali (ipotizzati) investimenti del clan sul Litorale: l’Ippocampo. Lo ha fatto in videcollegamento dal carcere con il tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Il collegio presieduto dal giudice Massimo Urbano sta valutando la richiesta di confisca, articolata dal pm Alessandro D’Alessio, di aziende, quote societarie, veicoli, libretti postali, polizze, terreni e fabbricati riconducibili direttamente o indirettamente al neo-pentito dei Casalesi. Tra questi beni che la Dda vuole affidare allo Stato ci sarebbe la società Bestwellness Srl amministrata da Sergio Pagnozzi, 57enne partenopeo: l’imprenditore, in base a quanto riferito da Schiavone, si sarebbe occupato proprio dell’affare Ippocampo.
“La gestione di quella struttura è iniziata con mio zio Walter (Walter Schiavone, fratello di Francesco Sandokan, ndr). L’abbiamo sempre tutelata, anche a livello amministrativo”. Ma il clan, almeno fino al 2004, ha chiarito il collaboratore di giustizia, in relazione a quel business non riscuoteva quattrini: la quota che toccava alla cosca veniva incassata sfruttando i servizi della struttura. “Lì facevamo pubbliche relazioni. Era il nostro locale. Quando poi da Pinetamare si dovette trasferire, perché il contratto scadde con i Coppola, si individuò la nuova località”.
L’organizzazione mafiosa, ha aggiunto il pentito, “aveva prospettato nella nuova opera una propria partecipazione”. “Ma dell’individuazione del sito non ero stato messo a conoscenza. Sergio Pagnozzi – ha chiarito Schiavone – sapeva la mia mentalità: non era un’asta commerciale, ma una casa privata. Successivamente quando si mise d’accordo con i Mauriello e rispose all’asta mi informò, anche se la proprietà non era loro: era del tribunale. Però nelle nostre zone si agiva così”.
Il trasferimento dell’Ippocampo e l’inizio dei lavori secondo il figlio di Sandokan si verificarono tra il 2004 e il 2005. A sponsorizzare l’attività però non ci sarebbe stato solo il clan: “C’era anche un finanziamento, ma non ricordo se europeo o regionale. Inizialmente diedi 150mila per gratificare i Mauriello, successivamente pagai gli interventi sul sito dell’Ippocampo. Complessivamente versai 300mila euro, senza conteggiare i lavori delle imprese nostre. Sergio fece un po’ di casino con i cantieri: doveva prendere i finanziamenti e mise troppe cose insieme. Dovetti intervenire io in alcune circostanze”.
Sul progetto la conoscenza del pentito si ferma al 2010: “Quando fui arrestato i lavori erano ancora in corso: il resort, l’albergo, il bungalow, la sale per i matrimoni. Poi per me iniziò il 41 bis”. Il presidente Massimo Urbano all’ex boss ha chiesto il tipo di accordo che aveva stipulato con Pagnozzi: “Dalle sue quote – ha spiegato Schiavone – io dovevo avere il dieci per cento sia sulle proprietà che sulla gestione. Era bravo Sergio in queste cose. A volte affidava ad altri la gestione”. Nella prossima udienza è prevista la requisitoria del pm Alessandro D’Alessio. Successivamente toccherà alle arringhe degli avvocati.