La fuga dei medici di emergenza verso specializzazioni e strutture meno rischiose non riguarda solo i posti di pronto soccorso, ma coinvolge anche i professionisti del servizio 118. Lo nota il responsabile regionale del sindacato Aaroi Emac Giuseppe Galano a margine dei momenti di tensione vissuti in strada a Caserta venerdì mattina nel corso di un intervento per soccorrere un anziano rimasto a terra dopo essere caduto (ha riportato un trauma facciale). Fra i passanti che hanno soccorso ci sono state lamentele per i tempi di intervento dei medici. A questo proposito, dal 118 fanno sapere che l’ambulanza, chiamata dai passanti alle 11,28, è partita dallo stazionamento dell’ospedale “Sant’Anna e San Sebastiano” alle 11,31 e arrivata sul posto alle 11,44. L’uomo è arrivato all’ospedale alle 11,50.
“Nell’organico del 118 in Campania – dice Galano – ci sono molti medici che alla fine, vista la mancanza di gratificazioni professionali ed economiche e la gravosità del lavoro sulle ambulanze, stanno tutti migrando nella medicina generale”. Secondo le stime di massima dello stesso sindacato, negli ultimi 12-18 mesi sono circa 200 i camici bianchi che hanno lasciato il 118 in Campania, una ventina in provincia di Caserta. A causa di questo esodo, dice Galano, sono sempre di meno le ambulanze dotate di “un medico che possa fare diagnosi e cura già prima dell’arrivo in ospedale ed evitare un eventuale ricovero improprio. Se non si può approfondire la situazione, il paziente viene portato direttamente in ospedale e l’infermiere può fare poco”. In Campania, per lavorare al meglio, servirebbero 150 medici del 118.
Per il momento non è ancora attuata l’integrazione fra ospedale e territorio, con l’apertura di case della salute e ospedali di comunità. Il programma presentato dal presidente della Regione Vincenzo De Luca prevede la realizzazione di 169 case della comunità (sono strutture polivalenti di assistenza primaria e specialistica in grado di erogare anche prestazioni sociosanitarie, 45 ospedali della comunità (vi sarebbero ricoverati pazienti che richiedono cure a basse intensità, ovvero a breve degenza) e 58 centrali operative territoriali. Il tutto per un investimento di oltre 380 milioni di euro, parzialmente coperto dai fondi del Piano nazionale di ripresa, e con tempi di realizzazione di tre anni. “Il Pnrr – nota Galano – ha previsto solo finanziamenti per strutture e non per il personale”. A peggiorare la situazione ci sono le chiamate improprie: “Ci allertano anche per una colica addominale o per uno sbalzo di pressione, ma il 118 dovrebbe occuparsi delle urgenze. Ci si è dimenticati che l’area critica non è solo il pronto soccorso, ma anche 118 e rianimazione”.
Servono 90 professionisti ma ce ne sono solo 35
Secondo il presidente nazionale del Saues, sindacato autonomo urgenza emergenza sanitaria, Paolo Ficco, per organizzare il servizio in maniera ottimale in provincia, medicalizzando almeno 15 su 22 ambulanze esistenti, ci vogliono circa 90 medici, 6 medici per ambulanza, in modo da coprire tutti i turni.
Attualmente, invece, i medici sono 35 e si possono medicalizzate solo 6 ambulanze. Ed è inutile, nota il rappresentante di categoria, parlare del corso per assumere 11 medici: dopo un po’ di tempo i professionisti reclutati lasciano e passano ad altri servizi. Per questo il Saues chiede il passaggio dei convenzionati con esperienza alla dipendenza. Proprio in questi giorni il Saues ha espresso apprezzamento per l’iniziativa legislativa del Governo Meloni che dà l’opportunità di conferire incarichi subordinati nei Pronto Soccorso ai medici che hanno svolto, a qualsiasi titolo, almeno tre anni, nei servizi di emergenza ed urgenza, anche se non provvisti del titolo di specialista”. Tuttavia, secondo il sindacato viene trascurata la possibilità di “allargare questa opportunità anche ai medici convenzionati che hanno svolto lo stesso servizio dei primi per un periodo magari anche superiore a quello dei tre anni. Ci riferiamo, naturalmente, a quei medici di Emergenza territoriale-118 che hanno servito fino ad oggi il proprio lavoro con grande spirito di servizio e sacrificio, magari per oltre cinque o dieci anni, distinguendosi per abnegazione, così come riconosciuto da tutti, soprattutto nella fase di pandemia”.
Per il sindacalista, “l’auspicio è che il Governo prenda atto delle nostre istanze raccogliendo il grido di questi preziosi professionisti che anelano al regime della dipendenza da oltre dieci anni, integrando il decreto legge del 30 marzo con una norma sul passaggio dei medici convenzionati di emergenza-urgenza alla dipendenza anche nei servizi di Emergenza Territoriale, oltre a quelli dei Pronto soccorso”.
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