CASAL DI PRINCIPE – Malmenato da due bruti a pochi passi dal municipio di Vitulazio. Prima di aggredirlo, lo chiamarono per nome. Cercavano Vincenzo Cenname. E avuta la conferma che si trattasse del sindaco di Camigliano, lo colpirono con calci e pugni per poi scappare a bordo di una Fiat Punto bianca. Domani da quel pestaggio saranno trascorsi esattamente 14 anni. Per tutto questo tempo chi e perché decise di picchiarlo ha rappresentato un mistero, qualcosa di irrisolto.
La nuova pista
Certezze giudiziarie sugli autori e sul movente, infatti, nonostante la denuncia e l’indagine dei carabinieri, ancora non ci sono. Ma adesso gli inquirenti hanno una nuova traccia da cui partire per svelare l’arcano. E a fornirgliela è stato il boss Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco Sandokan e dal 2018 collaboratore di giustizia. Ad ordinare l’aggressione sarebbe stato proprio lui su richiesta dell’imprenditore capuano Michele Di Rauso. L’episodio è stato raccontato dal pentito al pm Alessandro D’Alessio ad agosto di tre anni fa. Schiavone, però, in quella circostanza non è riuscito ad indicare il nome del politico. L’ex mafioso non ricordava chi fosse il giovane amministratore “di Camigliano o Pastorano” che venne aggredito. Pur non fornendo l’identità della vittima, il primogenito di Sandokan al pubblico ministero ha dato elementi importanti per ricostruire l’accaduto. Ha detto che era il 2007, tempo di campagna elettorale, che la vittima era un giovane amministratore dell’Agro caleno, che il movente dell’aggressione andava connesso alle cave e che il pestaggio fu oggetto il giorno seguente anche di articoli di giornale. Dettagli che incrociati, ora, non lasciano dubbi: si tratta dell’ingegnere Cenname.
Questione cave
Schiavone alla Dda ha riferito di aver avuto fino alla data del suo arresto un rapporto stabile con Di Rauso. Si incontravano almeno tre volte l’anno. Ma quando l’imprenditore gli avrebbe parlato di Cenname, ha spiegato il pentito, gli chiese “un appuntamento straordinario tramite Pasquale Diana”. “[…] Mi disse che questo candidato a sindaco gli stava creando problemi per i suoi discorsi pubblici contro l’apertura delle cave. Ricordo che era della coalizione di centrosinistra e in quella compagna elettorale guidava una lista civica. Era molto giovane. I fatti si svolsero nel 2006 o 2007”. E Cenname, infatti, nell’aprile di 14 anni fa, da sindaco in carica stava correndo per per le amministrative (elezioni che avrebbe vinto il mese successivo contro Renato Pellegrino). “Franco Salzano (di S. Maria La Fossa, uomo di fiducia di Schiavone, ndr) doveva andare ancora in Brasile, stava qua. Spiegai a Di Rauso – ha raccontato il pentito – che se la vittima non fosse stata a conoscenza delle problematiche reali, avrebbe potuto non comprendere il motivo (del pestaggio, ndr). Di Rauso insistette dicendo che se la sarebbe vista lui. Decisi di assecondare la richiesta dell’imprenditore mio amico, anche perché era interesse pure mio che lo stesso svolgesse la sua attività economica senza ostacoli”.
Il duo Laiso-Salzano
Schiavone all’Antimafia ha rivelato pure il nome di chi materialmente avrebbe picchiato Cenname. “A questo punto incaricai dell’azione violenta Crescenzo Laiso (di Trentola Ducenta, ucciso nel 2010 a Villa di Briano proprio su ordine di Schiavone, ndr), affiancandogli Salzano che conosceva la vittima designata in quanto frequentava l’Agro caleno ed era anche amico di Michele Di Rauso”. Ma non doveva essere un vero e proprio pestaggio. “Dissi a Laiso di non esagerare, di limitarsi a dargli un paio di schiaffi. Purtroppo – ha ricordato il figlio di Sandokan -, il Laiso per la sua natura impulsiva disattese le mie direttive e il giorno dopo venni a sapere del fatto dalle colonne del Corriere di Caserta che riportava un articolo in cui si dava atto addirittura del ricovero in ospedale. Rimproverai Laiso e per fargli capire l’errore che aveva commesso decisi di colpirlo nell’unica cosa che lo interessava davvero, riducendogli il compenso da tremila a mille euro. Di Rauso mi ringraziò per il pestaggio e mi disse che era rimasto soddisfatto”.
Inquadrato il periodo storico, identificata la vittima, agli inquirenti ora il compito di accertare se a chiedere di picchiare l’ex sindaco di Camigliano sia stato o meno Di Rauso. A supportare il narrato del pentito c’è l’impegno di Cenname, adesso dirigente del Comune di Casal di Principe, profuso proprio in quel periodo per bloccare la cava (tuttora chiusa) del capuano Di Rauso.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sono state inserite nel processo a carico suo, di Di Rauso, Gaetano Iorio, Massaro Clementina, e del geometra Luigi Corvino, accusati a vario titolo di intestazione fittizia di beni e riciclaggio aggravati dalla finalità mafiosa. Ad assisterli gli avvocati Giuseppe Stellato, Ferdinando Letizia, Francesco Picca e Stefania Pacelli.
Nel procedimento non viene contestato a Di Raudo l’ipotizzata aggressione all’ex primo cittadino di Camigliano.