Non sarà il clan dei Casalesi degli anni Novanta, ma la simbologia ostentata da chi vive ancora di mafia non è cambiata: è sempre la stessa. Ed infatti gli agenti della Squadra mobile di Caserta, impegnati ad indagare sulle recenti attività criminali della cosca sanciprianese, hanno immortalato il classico bacio sulla bocca tra quello che ritengono essere il boss del gruppo e uno suo sottoposto (fresco di ingresso nella compagine). Di chi si tratta? Il capo, dicono gli investigatori, è Oreste Reccia, alias Recchia ‘e lepre, storico esponente del clan. L’altro è Luigi Annibale, 38enne di San Marcellino.
Il primo elemento raccolto dalla polizia riguardante l’ipotizzata adesione di Annibale al gruppo guidato da Reccia è emerso nel dicembre 2020 durante una chiacchierata tra il capocosca e la moglie, Mariagrazia Tessitore. L’uomo racconta alla donna che durante un funerale aveva richiamato tale Gaetano affinché assumesse un comportamento più corretto verso Annibale, con il quale precedentemente aveva discusso. E al soggetto redarguito il sanciprianese, stando a quanto riferisce alla consorte, gli disse: “Questo (Annibale, ndr) è un compagno nostro e non devi fare queste cose”.
Il 14 dicembre gli agenti, attraverso delle telecamere, sono riusciti a riprendere il bacio sulla bocca tra il boss e il sanmarcellinese. Per gli investigatori quell’antico rituale, segno di sottomissione e deferenza, andato in scena proprio nei pressi dell’abitazione di Reccia, ha rappresentato l’ulteriore prova di connessione tra i due e in particolare avrebbe contribuito a certificare l’appartenenza di Annibale al gruppo malavitoso.
Reccia, tornato in libertà nel 2019, dopo aver scontato una lunga condanna per mafia, subito si era rituffato nel crimine. Un’immersione di malavita durata fino all’estate 2021, quando è stato nuovamente arrestato. L’indagine che lo ha riportato in cella gli è costata una condanna, ora irrevocabile, a 9 anni di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione. La stessa attività investigativa ha fatto scattare pure una condanna, ma in Appello, a 2 anni e mezzo per Annibale con l’accusa di detenzione illegale di armi.
Recentemente, però, la Dda di Napoli gli ha contestato, in un nuovo filone giudiziario (che ha preso spunto sempre dall’inchiesta su Reccia) anche l’accusa di associazione mafiosa (è indagato a piede libero): per i pm Maurizio Giordano e Francesco Raffaele, il 38enne di San Marcellino è stato il tenutario della cassa del clan e procacciatore e custode delle armi nella disponibilità della cosca guidata prima da Reccia e poi da Emilio Martinelli, quest’ultimo ammanettato per associazione mafiosa dalla Squadra mobile di Caserta lo scorso ottobre.