CASAL DI PRINCIPE – È diventato altro. Il clan dei Casalesi raccontato dalle inchieste che avevano portato in cella i suoi storici padrini non esiste più: negli ultimi 15 anni, oltre a cambiare priorità e approcci criminali, ha detto gradualmente addio alla cassa comune. La frattura che era cominciata ad emergere già nel 2008, con gli screzi tra Michele Zagaria e Nicola Schiavone (screzi talmente forti da rischiare di innescare una faida dal potenziale devastante), dopo l’arresto di questi due boss non si è mai più sanata. Risultato? La cabina di regia che dirigeva l’organizzazione è scomparsa. Ogni cosca che anima (formalmente) il clan ora si muove in autonomia, limitandosi a rispettare nell’esecuzione delle condotte malavitose (ma neppure più in modo troppo rigido) soltanto le spartizioni territoriali (decise quando al vertice della cupola c’era Francesco Sandokan Schiavone).
I segnali della disgregazione del clan erano già visibili nelle attività investigative più recenti, coordinate dalla Dda di Napoli, che hanno puntato a colpire i nuovi business della mafia dell’Agro aversano, come quella sui presunti tentativi di Nicola Schiavone ‘o russ di rituffarsi, appena scarcerato, nel mondo dell’imprenditoria o l’indagine che ha cercato di dimostrare la relazione tra i Capaldo, nipoti del capoclan Zagaria, e alcuni titolari di importanti catene di supermercati: in queste e in altre inchieste ‘fresche’ non è mai emerso il concetto di cassa comune. E a confermare l’abbandono da parte delle gang mafiose del vecchio schema adesso c’è pure il neo collaboratore di giustizia Vincenzo D’Angelo, consorte di Teresa Bidognetti ed ex braccio destro di Gianluca Bidognetti . “Attualmente, il clan dei Casalesi ha una struttura frammentaria, almeno per come sono in grado di dire fino al 22 novembre scorso, data del mio arresto. Per frammentata – ha raccontato il pentito al pubblico ministero Maurizio Giordano -, intendo dire che non esiste più una cassa comune gestita da persone incaricate dal clan. Ciò significa che ogni famiglia percepisce gli utili da alcuni canali di finanziamento che servono a sostenere non soltanto le famiglie dei detenuti al 41 bis, ma anche le famiglie dei detenuti per fatti associativi camorristici e quelle di coloro i quali sono tornati in libertà dopo lunghi periodi di detenzione. In estrema sintesi – ha concluso – posso dire che bisogna distinguere nettamente fra il gruppo Schiavone, il gruppo Bidognetti e il gruppo Zagaria”.
Insomma, resta solo il brand ‘Clan dei Casalesi’, ma la sostanza dice altro. Dice che ci sono, ormai, gruppi mafiosi indipendenti attenti a non pestarsi i piedi (e quello riconducibile ad Antonio Iovine, pentito dal 2014, è sostanzialmente scomparso).
Le informazioni date dal pentito al pm Giordano sono confluite nel processo che prenderà il via a giugno a carico suo e di altri 38 imputati. A trascinarli a giudizio l’inchiesta, condotta dai carabinieri, che ha puntato a tracciare e a colpire le nuove attività malavitose messe in piedi dalle cosche Bidognetti e Schiavone, rispettivamente guidate, dice la Dda, da Gianluca Bidognetti, figlio del boss ergastolano Cicciotto ‘e mezzanotte, e Giovanni Della Corte.
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