ROMA – Dalla transizione ecologica potrebbero arrivare 15 milioni di nuovi posti di lavoro, con un capitale investito a 275 trilioni miliardi di dollari entro il 2050. Un rapporto messo a punto da McKinsey and company (‘The net-zero transition: what it would cost, what it could bring’) offre un quadro sugli scenari futuri che possono derivare dalla trasformazione del sistema economico verso la decarbonizzazione delle attività produttive, guardando in particolare al raggiungimento delle ‘emissioni nette zero’.
Lo studio – che prende in esame i settori che contriuiscono all’85% delle emissioni totali – parla quindi dei “benefici sociali e economici” in 69 Paesi presi in considerazione; il tutto – viene spiegato – “a patto che il processo sia coordinato”. Oggi il 65% della spesa per l’energia e l’utilizzo del suolo è “destinata a prodotti ad alte emissioni; in futuro, il 70% sarà orientato verso prodotti a basse emissioni e le relative infrastrutture, invertendo così la tendenza attuale”.
Secondo il rapporto “la transizione avrà una natura universale. Tutti i settori economici e tutti i Paesi saranno interessati dai cambiamenti dei sistemi energetici e di utilizzo del suolo”. Inoltre – mette in evidenza – “la trasformazione economica sarà significativa. Il capitale investito in asset fisici dovrebbe ammontare a circa 275 trilioni di dollari, pari al 7,5% del Pil globale, entro il 2050 – circa 9,2 trilioni di dollari l’anno – che corrisponde a un aumento di 3,5 trilioni di dollari rispetto all’attuale livello di spesa annuale, come conseguenza del passaggio dalle attività ad alte emissioni a quelle a emissioni ridotte”.
E’ per questo che la ricerca indica come possa essere necessario “una riallocazione della forza lavoro, considerando che la transizione potrebbe portare alla creazione di circa 200 milioni di nuovi posti di lavoro diretti e indiretti, ma al tempo stesso alla perdita e alla riqualificazione di 185 milioni di posizioni entro il 2050, per un saldo netto positivo di 15 milioni di nuovi posti di lavoro”. A livello temporale, “i cambiamenti saranno concentrati nella prima fase della transizione”, con il prossimo decennio che sarà “determinante. La spesa potrebbe salire all’8,8% del Pil tra il 2026 e il 2030, rispetto al 6,8% attuale, prima di scendere nuovamente”. E anche “l’impatto potrebbe essere differente a seconda dei settori e dei Paesi. I più esposti saranno i settori con prodotti o attività ad alte emissioni, i Paesi a basso reddito e quelli con ingenti riserve di combustibili fossili”. Infine si mette in guardia da una mancanza di programmazione perché “se non gestita adeguatamente, la transizione comporterebbe diversi rischi, tra cui carenze dell’offerta di energia e aumenti dei prezzi. Anche se l’impatto non sarà omogeneo, una transizione ben coordinata offrirebbe una serie di benefici”.
di Tommaso Tetro