ROMA (Giuseppe Palmieri) – Ancora una volta nel Pd vince la linea del compromesso, del rinvio. La decisione sui congressi non è stata presa. Nell’assemblea di ieri all’hotel Ergife di Roma c’è stata una discussione sull’opposizione da fare al nascente governo Movimento 5 Stelle-Lega e uno scontro abortito sul nascere tra le correnti.
La conta evitata in extremis
La richiesta di cambio dell’ordine del giorno, con il rinvio dei congressi, è stata approvata con 397 voti a favore, 221 contrari e 6 astenuti (i 100 delegati di diritto non possono votare per questioni che riguardano il congresso). A favore si sono espressi renziani, franceschiniani e l’area del segretario reggente Maurizio Martina. Ma è stato un voto mascherato. Il presidente dell’assemblea, Matteo Orfini, è stato fischiato pesantemente mentre formulava la richiesta di modifica ai temi della discussione. Matteo Renzi riesce ancora a tenere in ostaggio il partito, ma i suoi numeri traballano e ora la vecchia opposizione sembra pronta a metterlo nell’angolo.
Il compromesso antipasto della fine dell’era Renzi
Maurizio Martina resta reggente, come volevano gli orlandiani e non solo loro. E la sua area silura l’ex segretario. “Oggi Renzi si è comportato da capocorrente di minoranza. Se n’è andato appena dopo la relazione di Martina, ha chiesto ai suoi di abbandonare la platea, ha minacciato di votare contro. Tutti comportamenti tipici delle minoranze. E’ chiaro che negli ultimi due mesi dentro il Pd sono cambiati molto i numeri e il clima. Se i renziani hanno fatto di tutto per sottrarsi alla conta sbandierando un pacifismo inedito è solo perché hanno capito negli scorsi giorni che non avrebbero avuto i numeri e che sul voto sul nuovo segretario sarebbero stati battuti”, hanno fatto sapere i sostenitori di Martina. Pd ancora ostaggio di Renzi. Sì, ma la sensazione è che questa situazione sia ormai destinata a cambiare in tempi brevi.