Con il boss Antonio Mezzero fuori dal carcere era tornato l’incubo estorsioni. Nell’indagine spuntano nuove dichiarazioni di una vittima

Il racconto della vittima ai carabinieri dopo il blitz che ha fermato il boss del clan dei Casalesi e i suoi sodali

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CASAL DI PRINCIPE – La bisca, il tentativo di accaparrarsi l’autolavaggio, le pretese sulla compravendita di un capannone a Francolise e il pizzo chiesto a dei costruttori nell’agro aversano: è già tanto, ma la compagine criminale che orbita intorno al boss Antonio Mezzero avrebbe fatto anche altro. E questo ‘altro’ è emerso nei giorni successivi proprio all’arresto del mafioso e dei suoi sodali. Come? Un imprenditore del sammaritano, appresa la notizia del blitz, si complimentò con un sottufficiale dell’Arma per l’attività svolta e, nel farlo, riferì che anche lui era stato avvicinato per una richiesta estorsiva nel dicembre del 2023. Da chi? Da un soggetto che si sarebbe qualificato come emissario di Mezzero, esortandolo a “mettersi in regola”.

Tale ‘avvicinamento’, nell’immediatezza, venne denunciata dall’uomo d’affari alla polizia di Stato. L’imprenditore, dopo il suo sfogo con il carabiniere, però, è stato nuovamente sentito per fornire dettagli sulla circostanza già narrata alle fiamme oro. Nel riproporre la storia, ha sottolineato come, con le recenti scarcerazioni, tra cui proprio quella di Mezzero (rimesso in libertà nel luglio 2022, dopo aver trascorso in prigione oltre 25 anni), si fosse ripresentato un clima di tensione e omertà tra gli imprenditori. Diversi suoi colleghi, che solitamente gli raccontavano episodi criminali affinché venissero poi portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria, da quel momento in poi non avrebbero più detto nulla.

Insomma, la scarcerazione di Mezzero e simili aveva, a detta dell’imprenditore, contribuito a restaurare un pericoloso clima di paura, facendo ritornare reale l’incubo estorsioni. Timore spazzato via, però, dall’inchiesta dei carabinieri, coordinati dal pubblico ministero Vincenzo Ranieri della Dda partenopea, che è riuscita a bloccare il ritorno al crimine di Mezzero e compagnia.

Il racconto dell’imprenditore è tra i nuovi atti depositati dalla Dda e che saranno analizzati nel processo nato proprio dall’indagine che ha fatto scattare, lo scorso ottobre, 14 misure cautelari. Quel blitz, infatti, ha determinato il giudizio immediato disposto dal Tribunale di Napoli per Antonio Mezzero, originario di Grazzanise ma trasferitosi a Santa Maria Capua Vetere, rappresentato dal legale Alberto Martucci; i suoi nipoti, Alessandro e Michele, residenti rispettivamente a San Prisco e Grazzanise, assistiti dagli avvocati Camillo Irace, Martucci, Nello Sgambato e Paolo Raimondo; Davide Grasso, di S. Maria La Fossa, assistito dall’avvocato Paolo Di Furia; e Giovanni Diana di Francolise (cognato di Salvatore Nobis, uomo del clan Zagaria), seguito dagli avvocati Irace e Paolo Caterino, tutti accusati di associazione mafiosa.
Subito processo, senza passare per l’udienza preliminare, anche per Carlo Bianco di Casal di Principe, che risponde di estorsione.
Tentata estorsione, invece, è la contestazione – in concorso con Grasso – che ha portato a giudizio pure Pietro Di Marta, Pasquale Natale, Andri Spahiu e Pietro Zippo (ad esclusione di quest’ultimo rispondono anche di incendio), e che ha fatto scattare il via al processo, inoltre, per Giuseppe Diana, di S. Cipriano.

A Grasso vengono ascritti anche i reati di ricettazione e di detenzione illegale di un’arma (in concorso con Natale).
Nel collegio difensivo figurano anche gli avvocati Pasquale Diana, Raffaele Russo, Carlo De Stavola, Saverio Campana, Dario Di Nardo, Claudio Sgambato e Guido Fiorillo.

Tutti gli imputati indicati hanno chiesto di affrontare il rito abbreviato; chi invece avrebbe intenzione di affrontare il dibattimento è Vincenzo Addario, difeso dall’avvocato Angelo Santoro, accusato di estorsione. Gli imputati sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.

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