L’Epilessia è una delle condizioni neurologiche croniche più frequenti. Si stima che in Italia ci siano circa 600mila persone affette da Epilessia e in tutta Europa circa sei milioni e nel mondo circa 50milioni. Una condizione che nella maggior parte dei casi può essere curata con successo grazie alle terapie farmacologiche a disposizione, questo almeno nei paesi occidentali, però nei casi che non rispondono alle cure, un terzo delle persone con Epilessia, questa condizione può essere ad alto impatto negativo sulla qualità della vita. Questo perché la non prevedibilità insita delle crisi epilettiche può inficiare il contesto lavorativo, scolastico e affettivo. In più vi è l’alterazione della consapevolezza che spesso si può verificare. Tutto questo insieme anche all’accesso disomogeneo delle cure che ancora si registra soprattutto nei Paesi a basso reddito nonché allo stigma presente in tutti i Paesi, anche quelli occidentali, fanno di questa condizione una malattia ad alta pervasività.
“E’ per tali motivi – spiega il professor Giancarlo Di Gennaro, Direttore dell’UO Centro Epilessia dell’IRCCS Neuromed e Coordinatore del Gruppo di studio Epilessia della SIN (Società Italiana di Neurologia) – che l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel maggio del 2022 ha inserito l’Epilessia, insieme ad altre condizioni neurologiche, al centro di un ambizioso Piano decennale di politiche nazionali e internazionali. Gli obiettivi strategici del piano IGAP-10 (Piano d’azione globale decennale per l’epilessia ed altri disturbi neurologici) sono quelli di rendere la gestione di queste patologie prioritaria nelle politiche nazionali; di fornire su larga scala tempestive diagnosi efficaci; poter attuare strategie di prevenzione; favorire la ricerca e l’innovazione in questi campi, rafforzare un approccio a queste condizioni che segue il modello della salute pubblica”.
Lo stigma, dunque, è la caratteristica che accomuna questa patologia sia il mondo occidentale che i Paesi a basso reddito. Anche su questo aspetto gli specialisti del Centro Neuromed dedicato contribuiscono con la loro opera a promuovere il più possibile una corretta informazione e formazione non solo alle famiglie che combattono quotidianamente questa condizione ma anche all’interno della società stessa.
“Stigma è una parola la cui etimologia è greca e vuol dire macchia, pregiudizio, discredito che continua nel tempo. – dice la dottoressa Liliana Grammaldo, Neuropsicologa e Psicoterapeuta del Centro Epilessia Neuromed – Parte da una nutrita fetta di popolazione nei confronti di un’altra, di una malattia o di un’etnia, con il risultato di impedirne l’avvicinamento. Lo stigma è qualcosa che separa. Da questo stigma sociale ne discende uno individuale. La persona con Epilessia fa suo il concetto di valere meno. Questo accade perché l’identità non è biologica ma è un dono sociale. Se dal verificarsi della prima crisi non viene detto ad un bambino, ad una persona, che il suo valore prescinde dall’Epilessia ma è ontologico, connaturato, quel bambino, quella persona fa specchio di ciò e accetta di essere di minor valore. Nella storia dell’Epilessia il pregiudizio ha avuto alterne fortune. Nel Medioevo le persone affette da Epilessia erano considerate macchiate da demonio, quindi uccise; nel Rinascimento questa condizione non è stata più considerata tale. Per arrivare i nostri giorni dove questi pregiudizi sono ancora vivi a prescindere dal luogo geografico, dalla storia, dalla famiglia. I nostri sforzi sono indirizzati verso una educazione rispetto a questo. Lo facciamo in vari modi. Ognuno di noi fa la propria parte tramite pubblicità, discussioni nelle scuole con studenti e docenti. Diciamo che la dignità è ontologica, non ha a che fare con l’Epilessia. La malattia, il paziente epilettico deve essere un concetto secondario rispetto alla persona”.
Tra i picchi di incidenza più importanti di questa condizione vi è quello in età infantile e sebbene molte delle forme esauriscono in adolescenza resta una percentuale del 30% di bambini che continueranno a presentare crisi a volte anche farmacoresistenti. Nel mondo si stima che circa un milione di bambini affetti da Epilessia transitano nell’età adulta. Proprio la transizione risulta essere un processo complesso che vede il passaggio da una assistenza sanitaria in ambiente pediatrico ad un ambiente neurologico nell’adulto
“La transizione è un processo che prevede la presa in carico non solo di quel bambino, di quell’adolescente che continua a presentare crisi in età adulta – dice il dottor Alfredo D’Aniello – ma anche di quei ragazzi per i quali le crisi sono ben controllate e che presentano comorbidità che necessitano di ulteriori controlli in ambienti neurologici. Un processo lento che parte dall’infanzia e dall’adolescenza con il contributo della famiglia e di una equipe multidisciplinare composta dal Neuropsichiatra infantile, il Neurologo e lo Psicologo. Ma anche di altre figure: immaginiamo il Ginecologo che seguirà una adolescente che si appresta a diventare una giovane donna e una madre; oppure lo Psichiatra che può aiutare a gestire le componenti psicopatologiche che talora sono presenti in comorbidità con l’Epilessia. Parliamo dunque di un percorso la cui efficacia garantisce un miglior outcome non solo in termini epilettologi, gestione delle crisi, ma anche un miglior esito psicosociale e della qualità di vita della persona con Epilessia e della sua famiglia”.